"Non vedo i colori, ma con il naso riconosco 50mila essenze". Intervista a Baldo Baldinini, il profumiere dei grandi chef

17 Mag 2024, 14:53 | a cura di
A tredici anni già maneggiava essenze per fare vermouth da bere in famiglia. Nessuno conosce il suo volto online e nemmeno le sue formule che tiene in cassaforte. Ha studiato pure la formula della Coca-Cola e riconosce 50mila

Ama definirsi liquorista profumiere, anche se nel gergo la sua figura è riconosciuta come naso. Quello sopraffino che gli permette di riconoscere quasi 50mila referenze fra essenze, idrolati, botaniche. Che sia cannella, ginepro, aronia, nulla passa inosservato a Baldo Baldinini, anni 51, uno dei primi profumieri d’Italia. Scrive le formule su un pentagramma, è arrivato anche a studiare la formula della Coca-Cola, e se alcuni piatti di chef come Niko Romito, Massimo Bottura o Igles Corelli sono equilibrati, il merito è anche suo.

Quando inizia la sua storia?

Da bambino i miei genitori non potevano tenervi per via del loro lavoro e sono andato a stare dagli zii. Sono cresciuto nella bottega di mio zio che era un barbiere con la passione per i profumi.  È lì che ho avuto la prima confidenza con flaconi, lozioni, tant’è che i miei ricordi sono sempre legati a un odore.

Un ricordo?

L’acqua di colonia e il dopobarba Floid che usava mio zio nella sua bottega. I miei compagni di classe, fino alle superiori, li ho sempre riconosciuti in primis dall’odore che si portavano addosso: qualcuno sapeva di aglio o di pomodoro perché la mamma aveva cucinato qualcosa con aglio o pomodoro. Un altro sapeva di lavanda, perché in casa la madre la metteva nel cassetto. Tutti i ricordi sono legati a un odore gradevole o sgradevole. Questo va a riempire i colori che non ho mai visto.

Non vede i colori?

No, ho una forma di acromia: vedo tutto con sfumature di grigio, come se vedessi il mondo in una televisione in bianco e nero.

E c’è un odore che non ha mai dimenticato?

Quello di mia madre. Avrò avuto due anni, non so. Quello non mi è più andato via.

Se dovesse descrivere l’odore di sua madre, come sarebbe?

Non potrei descriverlo a parole, ma saprei disegnarlo su un pentagramma. Sarebbe un odore fatto di simboli.

Sul pentagramma?

Scrivo accordi aromatici: collego gli odori alle note musicali ed è per questo che scrivo le formule sugli spartiti.

Si spieghi meglio.

Con il tempo ho scoperto di avere questa sorta di sinestesia: ci sono persone che collegano i suoni ai numeri, io lo faccio con gli odori.

Come è nata questa idea?

Crescendo e studiando mi sono accorto che non c’era letteratura in merito, per cui mi sono inventato un metodo. Ho iniziato a scrivere le prime formule sui quadernini, poi le ho compresse e le ho messe in spartiti su pentagrammi.

Com’è fatto un accordo aromatico?

Contiene dei simboli che indicano gli elementi da inserire in un determinato prodotto come cannella, schisandra, maggiorana, pepe, scorze di arancio, limone, noce moscata, e in che quantità. Inoltre, si indica anche la modalità: ad esempio, distillazione, se parliamo di gin; infusione, se parliamo di vermouth etc... Questa nomenclatura me la sono inventata io, è un’indicazione personale.

Chi conosce il significato dei suoi accordi?

Nessuno. Ho tutto nascosto, scrivo sui pentagrammi. Se li portano via non se ne farebbero nulla. Nemmeno i miei collaboratori conoscono le formule, solo io.

Come avviene la creazione dei prodotti se nessuno sa cosa metterci dentro?

Sono io che determino i blend e sono presente nella produzione. In laboratorio ci sono schede conservate in cassaforte.

Quindi, formule e ricette segrete come quella della Coca-Cola?

Pensi, per anni ho studiato la formula della Coca-Cola e bisognerebbe chiarire che a inventarla non fu John Stith Pemberton ma Teofilo Barla. Se si legge il libro pubblicato da Arnaldo Forni Editore fra le righe è scritta la formula della Coca-Cola.

Ha studiato per anni la formula, e si è avvicinato? 

Sì, l’ho studiata non per riprodurla, ma per realizzare la mia Cola.

Quindi ha riprodotto la Coca-Cola?

Ho la formula ben nascosta.

Qual è la sua giornata tipo?

Mi alzo alle 5.45. Alle 6.20 assaggio o testo determinati aromi, poi vado in piscina - serve a livello mentale -  entro in azienda fino alle 3 di pomeriggio per seguire i cicli di produzione, sviluppo e ricerca, poi mi reco in uno dei miei laboratori e lavoro fino a mezzanotte sulle nuove formule o prodotti.

Ha un rito prima dell’assaggio del mattino?

Sì, faccio un lavaggio del naso con acqua e sale, spazzolo bene la bocca e faccio dei gargarismi a base d’acqua. È importante avere tutto pulito e pronto all’uso.

Fuma?

Sì, fumo. Per questo al mattino e la sera effettuo quel lavaggio.

Ma non inficia sul suo olfatto?

Se hai una qualità, ce l’hai. Se uno ha il naso, quello c’è a prescindere da tutto.

Come avviene l’assaggio?

Dico sempre che bisogna “ascoltare” anziché inalare, lo trovo più morbido. Se parliamo di un’essenza la inalo direttamente dal flacone, se è una materia prima, invece, prima inalo poi mastico, oppure ripongo in alcool e ascolto dopo ore.

C’è un momento in cui capisce che è stanco?

Certo. Lo capisco perché ho delle tecniche che non posso svelare: il mio è un lavoro fatto di segreti, che si fa dietro le quinte, anche per questo non c’è nemmeno una mia foto online.

Da quanti anni fa questo lavoro?

Consulenza per gli chef da dieci anni, liquori da quando avevo quattordici anni, anche tredici.

I suoi genitori glielo hanno permesso nonostante fosse un ragazzino?

Appartengo a una generazione dove non c’era tutto questo rigore, maneggiavo vino per fare un vermouth che beveva la famiglia, non ho mai avuto eccessi importanti. E l’alcol si usa anche per i profumi, l’importante è avere piacere di quello che si sta facendo in un’età qualsiasi dove quello che conta è lo stupore.

Lei si stupisce tutti i giorni.

L'ossessione per odori e aromi deve diventare il piacere della tua vita. Non ho un computer e scrivo tutto con carta e penna, da quando scrivo e realizzo il pc non mi serve a nulla, non uso la televisione e comunque è un lavoro che ti porta a studiare tutti i giorni.

Dove lavora?

Vivo la mia vita tra due laboratori, uno in città a Rimini a uno in paesino sul mare e poi l’olfattorio.

L’olfattorio?

È un atelier dove abbiamo circa 50mila referenze fra alcolati, estratti, botaniche essenze, abbiamo la collezione più importante a livello europeo.

Come conserva aromi ed essenze?

Tutte in vetro scuro a una temperatura costante di circa 18 gradi: in falconi, pilloliere, boccettine, vasi, flaconi a bocca larga e tenuti in assenza di luce.

Quindi lavora con poca luce?

Quando compongo ho delle luci che accecano, dove conservo le materie prime c’è pochissima luce.

Da bendato quante referenze tra essenze, botaniche, idrolati, alcolati etc.. riconosce delle sue 50mila?

Generalmente riconosco tutto e subito, se è qualcosa di nuovo no.

Un suo maestro?

Giacinto Rossetti, fondatore del Trigabolo, e Bruno Biolcati. Da loro ho appreso la serietà nello studio e interpretazione della materia prima e l’umiltà. La cosa più importante.

Quindi studia continuamente.

Sì, studio su volumi antichi che colleziono, su trattati di botanica, vado a conoscere l’efficacia aromatica e poi studio nuovi prodotti. Quando sono annoiato realizzo manualmente le formule che ho composto mesi prima.

Come si è avvicinato all’enogastronomia diventando il naso degli chef?

Crescendo ho studiato profumeria e poi a un certo punto ho pensato di sposare la profumeria alla enogastronomia. La profumeria riguarda solo l’olfatto, l’enogastronomia riguarda anche il gusto e unirli è il massimo: due sensi che si mettono in gioco insieme.

Quali sono gli chef con cui collabora?

Riccardo Camanini, Igles Corelli, Bruno Barbieri, Philippe Léveillé, Niko Romito, Massimo Bottura. Quando prendi uno chef è per sempre, ogni chef ha la sua scheda, le proprie tinture. Ogni prodotto è personalizzato, ogni consulenza è personalizzata.

Qual è il lavoro che fa con loro? 

Io non creo i piatti, faccio il profumiere. Gli chef mi chiedono consulenza sulle botaniche per comporre dei piatti: magari mi dicono “mi servirebbe avere questo aroma, questa tintura, vorrei esaltare questo elemento piuttosto che un altro” e io fornisco consulenza per realizzare le sfumature richieste.

Ha scelto qualcuno a cui lasciare la sua eredità?

Mio figlio.

Lavora con lei?

No, ha quasi dieci anni. L’ho abituato da bambino: anziché fargli studiare l’inglese, per dire, gli sto insegnando questo lavoro. A quattro anni riconosceva una trentina di botaniche da bendato, a sei anni ottanta circa, adesso oltre cento. In questo modo ha imparato a usare l’olfatto una cosa che non usa quasi più nessuno. Lui si è aperto la strada e la mente a capacità che se vuole può sviluppare.

Lascerà a lui le sue formule segrete, dunque.

Non tutte, molte non le svelerò nemmeno a lui. È giusto che qualcosa vada a perdersi nell’oblio

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