Personaggi famosi e star di Hollywood sembrano dettare sempre le tendenze. Succede spesso. Ne è un’ulteriore dimostrazione la micoterapia, da qualche anno “popolare” anche in Occidente quale metodo per migliorare il proprio benessere, senza fare distinzioni fra corpo e mente. Stiamo parlando dei funghi medicinali, assunti quotidianamente da attori del calibro di Benedict Cumberbatch (ve lo ricordate il protagonista della serie di successo Sherlock Holmes?). Visto l’interesse generato dagli integratori a base fungina, viene spontaneo chiedersi se funzionino per davvero, oppure se producano in chi li assume solo un effetto placebo, spinti sul mercato dalla forza propulsiva delle campagne di marketing capaci di convincere pure i più scettici.
La micoterapia non è una vera novità
Che producano buoni risultati o no, possiamo iniziare con il dire che non parliamo di autentica innovazione. Il progresso tecnologico fa sì che strada facendo l’industria perfezioni il metodo con cui trattare i funghi e renderli efficaci integratori, ma la materia è da molto tempo valutata per il trattamento di varie sintomatologie. Il mondo scientifico ha cominciato a studiarne gli effetti già dagli anni Sessanta. In Cina, addirittura, i funghi venivano assunti in decotti o dentro a zuppe per la cura e prevenzione di alcuni stati fin dal 200 a.C. Lo Shen-nung Pen-ts’ao Ching, un antichissimo testo cinese sulle piante medicinali, ne enuclea tutte le proprietà e i possibili benefici. Quindi, annunciare cose del tipo «i funghi sono il futuro della nutrizione» come fossero un’assoluta novità in ambito terapeutico e non un campo esplorato da decenni (secoli in Estremo Oriente), vale come un pay-off promozionale. Soprattutto se esce fuori dalle stesse aziende che ne vendono gli integratori.
Quali sono i funghi medicinali con cui si producono gli integratori?
Gli integratori non si dovrebbero assumere indifferentemente: uno non equivale all’altro. Per quanto possano produrre degli effetti comuni, ogni fungo medicinale ha determinate caratteristiche, più o meno utili a seconda del caso specifico. Quelli più diffusi, usati per la micoterapia, sono il Reishi, lo Shiitake, la Criniera di Leone, il Cordyceps, il Maitake e l’Agaricus Blazei Murrill, il cosiddetto ABM. Lista che potrebbe essere ben più lunga.
Il primo è soprannominato dai cinesi fungo dell’immortalità, il Ling-Zhi riservato un tempo solo alla nobiltà, e oggi tanto apprezzato per la capacità di ridurre stress e migliorare il riposo. Il secondo, considerato un micete “gastronomico”, sarebbe prezioso nella difesa del sistema immunitario, una sorta di barriera che blocca infezioni e inibisce lo sviluppo di cellule cancerose. Del Lion’s Mane si teorizzano le proprietà neuroprotettive e i benefici sia per la concentrazione che per la memoria. Il Cordyceps invece incrementerebbe i livelli della molecola Atp, responsabile dell’energia cellulare, incidendo così sulla resistenza fisica. Un fungo d’alta quota che viene consigliato anche nell’ottica del potenziamento delle funzionalità respiratorie. Del prelibato Maitake, fungo danzante del Sol Levante e di poche aree italiane, si sottolinea l’abilità di regolare pressione arteriosa, colesterolo e zucchero nel sangue. E infine l’ABM, che con la sua azione immunomodulante e antitumorale è noto come fungo del sole.
Cosa dice la scienza sui funghi medicinali
Proprio l’Agaricus Blazei Murrill rappresenta uno dei casi più rilevanti della letteratura scientifica. Già nei decenni scorsi il fungo aveva attirato l’attenzione degli studiosi, sorpresi dal fatto che nell’area montuosa in cui cresceva non si registravano malattie croniche. Il paesino brasiliano di Piedade era popolato infatti da centenari che usavano cogliere l’ABM sulle cime nei pressi della foresta non lontana da San Paolo. Sebbene la ricostruzione sia stata strumentalizzata ai fini di vendita degli integratori, la ricerca è giunta in realtà anche a dei risultati interessanti, alcuni dei quali non hanno sconfessato gli effetti positivi derivanti dalla sua assunzione; per esempio, le analisi di F. Firenzuoli e altri studiosi, oltre a ricordare che «in Giappone i ricercatori hanno dimostrato sperimentalmente gli effetti immunostimolanti e antitumorali degli estratti ABM», affermano che dallo studio in vitro risulta che le sue componenti presentino potenziali effetti «nella prevenzione e nel trattamento del cancro». Ancora, sempre con riferimento ad alcuni rapporti giapponesi, si scrive che i pazienti affetti da cancro urologico avrebbero tratto giovamento dagli estratti del fungo. Nella pubblicazione viene riportato infatti: «[…] gli effetti collaterali associati alla chemioterapia come appetito, alopecia, stabilità emotiva e debolezza generale sono stati tutti migliorati […]».
A proposito di oncologia integrativa, che affronta la casistica con un approccio olistico, guardando per esempio al cibo come medicina (in tal caso i funghi), non si può ignorare neanche lo studio pubblicato su Clinical and Translational Medicine, condotto da un’equipe di uno degli istituti di ricerca del più importanti degli Stati Uniti, con programmi pionieristici di trattamento oncologico, il City of Hope National Medical Center. Gli sviluppi iniziali e confortanti dei test fatti su topi e uomini supervisionati da Shiuan Chen, professore e capo del Department of Cancer Biology and Molecular Medicine, portano a considerare il fungo prataiolo bianco somministrato, insieme ai suoi ꟗ-glucani, utile a rallentare la diffusione del cancro alla prostata migliorando nei soggetti sottoposti ad analisi la risposta immunitaria.
Tutto questo prodotto da estratti e integratori di funghi, sperimentali e non. Curioso quanto sia in grado di proporre la natura. «Incredibili le proprietà e i benefici che possono derivare da alcuni alimenti, cosa che noi non sempre siamo in grado di comprendere», come afferma spesso la Dottoressa Rasio, specialista in Oncologia, nutrizionista e ricercatrice dell’Università La Sapienza di Roma. Certamente affascinante, ma forse una prospettiva non più di tanto sorprendente, se si pensa che il primo antibiotico — scoperto dal batteriologo Alexander Fleming — derivava da una muffa, il Penicillium notatum, alla fine una “crescita” fungina. Peraltro, simile penicillina costituisce l’erborinatura di certi formaggi, come nel caso del Roquefort.
Il “verdetto”: la panoramica scientifica su Nutrients
Così, almeno una parte della medicina “convenzionale” riconosce le potenzialità dei funghi e della loro ‘sintesi’ per riequilibrare l’organismo umano. Posizione che risulta anche attraverso l’abstract di un articolo uscito su Nutrients, diventato cruciale nella letteratura scientifica. In Integratori a base di funghi in Italia: apriamo il vaso di Pandora si sostiene univocamente e senza grandi riserve che «i funghi e i suoi derivati sono ben noti alla comunità scientifica per avere diversi benefici per la salute e mostrano una vasta gamma di attività farmacologiche, tra cui azioni ipolipemizzanti, antipertensive, antidiabetiche, antimicrobiche, antiallergiche, antinfiammatorie, antitumorali, immunomodulanti, neuroprotettive e osteoprotettive».
Dallo stesso lavoro emerge però che molto possano spostare metodo di coltivazione, origine e purezza genetica dei campioni resi integratori alimentari, che siano venduti singolarmente o in combinazione con altre componenti neutraceutiche. Un dubbio sulla qualità generale che potrebbe sorgere sistematicamente dato che non di rado polveri ed estratti, commercializzati tanto in Italia quanto in Europa, hanno provenienza incerta e sono di dubbia identificazione tassonomica. Non aiuta poi il fatto che la coltivazione di funghi medicinali su larga scala avvenga «principalmente in Cina, dove la maggior parte degli impianti di produzione non dispone di buone pratiche di fabbricazione riconosciute a livello internazionale». Problema non indifferente, visto che la produzione di integratori sul suolo cinese è sempre più stimolata dalla concezione del fungo come una sorta di panacea di tutti i mali. E non più solo in Asia. A questo si aggiunge un’altra criticità: il sovradosaggio può avere un effetto tossico. Cosa che le campagne di marketing omettono. L’assunzione richiede perciò il monitoraggio costante poiché nel medio-lungo periodo, lasso temporale essenziale affinché vi siano dei significativi benefici in chi li assume, i livelli di micotossine rischiano di essere elevati. Come suggeriscono tali risultati, possiamo allora concludere che non è tutto oro quel che luccica.