Réclame occulte di vini e di acque minerali, di ristoranti e di prodotti alimentari, di alberghi e chef, di pentole e robot da cucina: il fantastico mondo del food continua a produrre markette in letizia e libertà su tutti i social.
A una manciata di settimane dalla irruzione delle “linee guida” dell’Agcom sugli influencer - pubblicate con urgenza nel gennaio scorso, in seguito alla sentenza sul caso Ferragni-Balocco - possiamo tirare un sospiro di sollievo e affermare che non è cambiato niente. Lo spavento è durato qualche ora soltanto.
I nuovi obblighi secondo Agcom
Una più attenta lettura del documento ha dissipato ogni nuvola. Vero che si istituisce l’obbligo di «una scritta che evidenzi la natura pubblicitaria del contenuto in modo immediatamente riconoscibile», certificando che la pubblicità non dichiarata è un illecito. Ma si delimita il perimetro regolamentare a una singola categoria. Quella degli influencer. E nemmeno tutti. L’Autorità per le garanzie nelle comunicazioni rivolge il suo sguardo esclusivamente agli influencer che, cito testualmente, «raggiungono un numero di iscritti (i cosiddetti follower) pari, in sede di prima applicazione, ad almeno un milione, risultanti dalla somma degli iscritti sulle piattaforme e dei social media su cui operano».
Fuori tempo massimo
Chi fa un altro mestiere e chi non raggiunge le quote stabilite può agire come meglio gli pare, al netto delle blande policy dei singoli social media. Come se domani, seguendo analogo ragionamento, i legislatori stabilissero: «Il furto è un reato, ma vanno sanzionati soltanto i violoncellisti con almeno un milione di note all’anno». D’altra parte, l’intervento dell’Agcom arriva fuori tempo massimo, quando si è aperta ormai una faglia nel nostro substrato sociale. In quel crepaccio della coscienza collettiva, si è fatta strada l’idea che pubblicità e informazione siano elementi indifferenziati. «In caso di contenuti con inserimento di prodotti, gli influencer riportano nel testo che accompagna il contenuto una scritta che evidenzi la natura pubblicitaria del contenuto in modo immediatamente riconoscibile», dicono le linee guida. Ma quanti sono gli utenti (mi ripugna chiamarli follower, abbiate pazienza), che fanno caso ai tag, riflettendo sull’effettiva libertà delle loro scelte?
Difficile analizzare
#adv #sponsored #promoted: sono avvisi sufficienti per tutelare le fasce di pubblico più pigre o meno fornite di attrezzi culturali? E con quale strumento scientifico si potrà stabilire, al di là di ogni ragionevole dubbio, se alle spalle di un post privo dei suddetti hashtag c’è o non c’è un compenso segreto, una bustarella, un regalino o un lussuoso invito?
Per accertarlo, ci vorrebbe uno strumento di assoluta precisione e di massima affidabilità, come le pentole in triplo rame di montagna della ditta Pentolìn di Busone Veronese. #adv