Matera è il ritratto stratificato di un’Italia che dalla civiltà rurale più estrema è riuscita a diventare una delle Capitali europee della Cultura per il 2019. Salvando il passato, anzi, rendendolo vivo e vitale ancora oggi. E lì, in quelle grotte-case abitate senza interruzione dal paleolitico fino agli anni ’50, oggi si scopre un’umanità incredibile che della bellezza e dei sapori antichi è riuscita a fare una chiave per il futuro.
Matera, prima e dopo
“Vergogna? Che brutta parola. Non ci si deve mica vergognare della miseria. Succede. Come succede la fortuna”. Gabriella si rassetta sulla testa lo scialletto di recupero fatto con gli avanzi dei gomitoli di lana, un copricapo di colori accesi che le incorona il viso come una regina di Gerusalemme, solcato da una raggiera di 90 e passa primavere. Una ragazza felice di una felicità solida, quella di chi ha visto il prima e il dopo, i Sassi del dolore stigmatizzato da Togliatti nella storica visita del ’48 e l’epifania delle caverne magnificate finalmente nell’anno domini 2019: Matera capitale. Null’altro che accidenti della vita, questo e quello, “giorni di pane duro e altri di pane fresco”, sentenzia mentre stende i panni fragranti di bucato di fronte all’uscio di casa a un passo da piazza Duomo dove si intersecano i Sassi Barisano e Caveoso, disegnando la silhouette della città, due ali in cui qualcuno ha intravisto una forma di colomba. E l’intenzione del volo. Divisione accademica, in verità, per i materani la città si divide più semplicemente “in questa e l’altra parte”.
Iperstaticità e vicinati
Un “miracolo di iperstaticità”, si legge nei manuali di urbanistica dove Matera è il modello scolastico di un’armonia pitagorica, architetture resilienti dove la roccia affiora e convive con le abitazioni in calcarenite, asservite alle regole della natura, anche umana. “Il modello, enne volte replicato, è quello di case di vicinato ciascuna delle quali costituisce il lato di un quadrato ideale dove il quarto lato rimane aperto”, spiegano a una voce Eleonora Sansone e Antonio Manicone, guide turistiche che hanno fatto delle rispettive lauree in Beni culturali un giacimento a disposizione dei visitatori in transito per la città. Il vicinato, dunque.
“Un modulo che assolve a due funzioni – spiegano, entrambi attrezzati d’immenso amore per la terra dei sassi e dei contrari – i lati esterni del quadrato costituiscono un argine che consente il deflusso delle acque meteoriche, lo spazio interno invece è un cortile, elemento costitutivo dell’ossatura sociale di Matera: lo spazio dove le famiglie allargate si radunavano e prestavano mutuo soccorso”.
Valgono oggi come allora le cronache di Eustachio Verricelli (fine ’500) che la definivano la “città dell’incontrario”, dove i vivi stanno sotto i morti e il cielo sotto i piedi. Dove le distanze appaiono siderali, illusione ottica data dalla verticalità e dai piani sfalsati delle case costruite sulle pendici rocciose della gravina, e invece bastano pochi passi per passare dalle grotte della Civita e la basilica, fino alla necropoli – il cimitero longobardo – sul piano delle Malve nel rione omonimo, e ridiscendere già dall’altra parte fino allo skyline dove giganteggiano il paesaggio selvatico e la mole di San Pietro Caveoso, tutto compreso in uno sguardo solo e nello stesso, maestoso silenzio.
Matera patrimonio dell’umanità
Com’è bastato un giro di valzer di settant’anni per ritrovarsi dalle pagine di un romanzo neorealista a patrimonio dell’umanità Unesco (1993) fino alle cronache del 19 gennaio 2019, bagno nella fonte battesimale dell’Europa e risorgimento a vita nuova, dalla dannazione alla redenzione attiva cui hanno partecipato 6mila persone, ciascuna bardata di borsa luminosa – segmenti di luce che hanno fatto la coreografia al taglio del nastro di Matera Capitale. “I dati del 2018 sono ancora in fase di elaborazione – spiega Serafino Paternoster, voce della Fondazione Matera-Basilicata 2019 – ma dalle 200mila presenze alberghiere del 2010 siamo passati a 480mila nel 2017. Tutto il lavoro di candidatura ci ha fatto crescere del 160 per cento, da 2.000 posti letto a 5.000 nell’ultimo anno. Non solo. Il livello delle attività di ristorazione negli ultimi mesi ha subito un’impennata pazzesca, culminata nel battesimo della prima stella Michelin alla città, assegnata a Vitantonio Lombardo. Non basta. Si è alzata la qualità dell’offerta architettonica e ricettiva: non avevamo relais a cinque stelle, adesso ce ne sono almeno cinque”.
Fiore nel fiore dell’offerta ricettiva il Sextantio, che ha meritato lo stupore del New York Times: “una delle mete più straordinarie nel mondo”, e per il Times “uno dei 10 hotel più belli sulla scena internazionale”. Il relais è una ricostruzione filologica delle spelonche cesellate a fuoco nelle pagine da cui tutto ha avuto inizio: “quelle grotte per abitazione e ci dormono tutti insieme, uomini, donne, bambini, bestie”, scrive Carlo Levi nel suo Cristo si è fermato a Eboli. Stessi letti alti come pagliericci, camini e suppellettili restaurati con rigore amanuense: che vuol dire nient’altro che mani, martello, scalpello. L’esperienza di quella miseria – che ancora respira nelle 18 camere dell’albergo diffuso – è il lusso vero, la memoria cambiata di segno. I giorni di pane fresco dopo i giorni di pane duro.
Ristoranti gourmet a Matera
E fa specie che un cuoco, Vitantonio Lombardo, e un intellettuale come Paolo Verri (l’ex enfant prodige del Salone del libro di Torino, oggi direttore di Matera 2019) adoperino le stesse parole per descrivere la propria parabola esistenziale rovesciata proprio in questi luoghi. Dice Verri: “Come una moglie in seconde nozze, dopo una grande delusione toccatami nella città in cui sono nato, cresciuto e in cui ho fatto le cose migliori, Matera mi ha accolto tra le sue braccia mentre mi leccavo le ferite e mi ha dato enorme libertà di azione”.
Dice Lombardo: “Ho deciso di chiudere Locanda Severino a Caggiano senza avere niente in tasca, né un piano alternativo, né una meta. Ho deciso in terrificante solitudine di tornare a casa, nella mia Lucania. Ho scommesso tutto quel che avevo, ero il solo a crederci. A tre mesi dall’apertura è arrivata la stella. Ma soprattutto è arrivata un’enorme libertà di espressione che non avevo mai sperimentato prima e che posso esercitare finalmente senza freni, uscendo dalla zona di comfort nella quale ero ristretto a viva forza”.
La differenza è che la clientela internazionale che arriva in via Madonna delle virtù è pronta a capire; e lo sono anche i materani, a loro agio ormai in un’altra dimensione, altri confini, quelli del fine dining che per la Città dei Sassi è una scoperta dell’ultima ora, un territorio mai esplorato prima. Il menu di taglio avantgarde nel Vitantonio Lombardo restaurant porta il nome di Mathera 2019 e fra i piatti della nuova era (tutti modulati su un registro alto-basso, miseria e nobilitate della materia prima) un primo con dedica Per Frank, ovvero Pasta mista in zuppa di capriata, gamberi e foie gras. Un tributo alla memoria di Frank Rizzuti, lo chef scomparso cinque anni fa e due mesi dopo avere acceso la primissima stella sul cielo della Lucania con la sua Cucina del Sud.
Alta ristorazione a Matera
Fu il primo, Frank, a osare una riscrittura non supina della tradizione. Poi un lungo vuoto, dal 2014 fino all’alba del 2017, quando Matera ha spalancato le porte all’haute cuisine con Michele Castelli e Francesco Russo, ai fuochi e in sala a Dimora Ulmo, una galleria d’arte con ristorante innestata in un palazzo settecentesco, con terrazzo panoramico spalancato sul precipizio dei sassi. Mozzafiato. Materano d’origini, francescano (nel senso dell’Osteria delle osterie) d’adozione, dopo dieci anni di esercizio quotidiano alla corte di Massimo Bottura, Castelli insieme alla strada di casa ha trovato “il coraggio di essere me stesso”. E di spingere il cuore oltre l’ostacolo della filologia pan-materana, con creazioni come il risotto all’ostrica, zenzero candito e nota lunga in fondo dominata dalla dolce salsa al burro bianco. Che in tempi come questi dominati da acidità e amarezze, pure la dolcezza richiede un atto di coraggio.
a cura di Sonia Gioia
QUESTO È NULLA...
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