Ilham: quattro donne afgane si reinventano un lavoro lontano da casa grazie alla cucina (e all’Onu)

10 Mar 2016, 09:00 | a cura di

Un'iniziativa di solidarietà che ha come protagonista la cucina. A Nuova Delhi, quattro donne riprendono in mano la propria vita dopo essere sfuggite alla guerra, portando il gusto della cucina afgana tradizionale nelle fiere della città.

È un progetto partito lo scorso anno ma che solo due giorni fa, in occasione della festa della donna, ha dato voce alle fondatrici. Quattro donne scappate dall'Afghanistan per trovare una vita migliore e reinventarsi attraverso il lavoro, iniziando un'attività in proprio. In cucina.

Il progetto

È il cibo, infatti, il legame potente con la terra d'origine che aiuta a ritrovare la propria identità e a valorizzarla, anche a migliaia di chilometri di distanza da casa. Il progetto è stato reso possibile dall'UNHCR, l'Ufficio dell’Alto Commissario delle Nazioni Unite per i Rifugiati, associazione istituita dall'Assemblea Generale delle Nazioni Unite nel 1950 con il compito di assistere i cittadini europei fuggiti dalle proprie case a causa del conflitto.

L'impresa fondata dalle quattro donne si chiama Ilham, che in lingua dari significa “positivo”, ed è nata grazie alla collaborazione di UNHCR con l'organizzazione ACCESS Development Services, impegnata nella divulgazione di mezzi di sussistenza nazionali. Le donne che hanno scelto di partecipare al progetto sono state sottoposte a diversi test e la cucina è risultata essere l'unica passione comune per tutte. “Volevamo creare un'attività per i rifugiati che potesse riconoscere e valorizzare le loro capacità”, spiega Aditi Sabharwal, project manager di ACCESS, “ma non immaginavamo che il cibo avrebbe avuto un tale successo”.

La cucina

Zameera, Naadirah, Zeenat e Sania: sono questi i nomi delle quattro donne afgane che hanno avuto il coraggio di cambiare. “Lavoravo come colf, ma i soldi che guadagnavo non erano sufficienti per coprire le spese di casa”, racconta Zameera, vedova di guerra. “Ho saputo del programma di UNHCR e mi sono subito registrata”. Un breve corso intensivo di cucina per imparare le tecniche base e l'iniziativa ha preso vita. Portando all'apertura di un banco nato senza tante pretese, se non quella di offrire nuove prospettive e dimostrare che un'altra vita è possibile.

A cominciare dal Dastkar 2015, la fiera culturale di Nuova Delhi, una grande manifestazione di artigianato locale dove le quattro neoimprenditrici hanno servito per la prima volta il cibo afgano: “Vedere le espressioni felici dei nostri clienti è stata un'esperienza unica. È stato fin da subito un gran successo”. Riso Kabuli Pulao, il piatto nazionale afgano a base di riso, spezie, uvetta e pollo, e Firni, una sorta di crema di latte aromatizzata alla rosa, tipico dessert della tradizione, sono solo alcuni esempi dei piatti che le rifugiate ormai preparano a occhi chiusi. Dopo la prima fiera, le ragazze hanno iniziato a ricevere ordini su richiesta anche dalle ambasciate, partecipando a molti eventi e spostandosi tra i mercati gastronomici della città.

L'obiettivo

Inizialmente eravamo nervose perché nessuna di noi aveva esperienze professionali a contatto con il pubblico. Ma gradualmente abbiamo acquisito sicurezza”, commenta Sania, che ribadisce come cucinare e proporre i piatti afgani la fa sentire più vicino a casa. Quasi tutte prima dell'iniziativa soffrivano di disturbi psico-fisici, depressione e stress. Oggi possono contare su una rinnovata autostima nei propri mezzi: “Questa attività ci ha aiutato tanto, e non solo economicamente”, aggiunge Zeenat, trasferitasi a Nuova Delhi con i suoi 6 figli nel 2000: “Siamo donne fuggite dalla guerra, traumatizzate. Il lavoro consolida la nostra autostima e ha effetti terapeutici”. Appena arrivata in India, Zeenat non riusciva a pagare l'affitto di casa e la scuola per i suoi bambini, “ora, grazie alla cucina è possibile”. Com'è accaduto a Saina, scappata a Nuova Delhi nel 2011 con i suoi 8 figli, che solo oggi può ritenersi una madre di famiglia serena e soddisfatta: “Questa impresa è meglio di qualsiasi medicina”.

www.unhcr.org/cgi-bin/texis/vtx/home

a cura di Michela Becchi

 

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