Nel giugno di trent’anni fa veniva riconosciuta l’indicazione geografica “Vermouth di Torino”, e per celebrare la ricorrenza, il Consorzio di Tutela presieduto da Roberto Bava ha organizzato presso la Banca del Vino di Pollenzo una grande degustazione alla presenza dei 23 produttori che ne fanno parte. È stata l’occasione per fare il punto su un lungo percorso che ha permesso di raggiungere risultati importanti e di proteggere uno dei prodotti enologici più rappresentativi del Piemonte.
Vermouth di Torino. Com’è cresciuto il Consorzio
Partiamo dall’attualità. Roberto Bava, come sta uscendo il vermouth dalla pandemia?
“Siamo molto legati al consumo nei locali, al mondo della miscelazione e pensavamo che lo stop per lunghi mesi sarebbe stata una catastrofe per le vendite. In realtà nel 2020 abbiamo registrato una contrazione attorno al 17% dei volumi di produzione rispetto al 2019 e soprattutto sui mercati esteri le vendite online hanno tenuto, contribuendo ad attenuare le perdite.”
Il Consorzio rappresenta oltre il 98% della produzione del Vermouth di Torino per un totale di 4 milioni e mezzo di bottiglie vendute in tutto il mondo, dalla Cina all’America Latina. “Il panorama dei nostri soci è molto variegato, si va dalla multinazionale alla one man company e ultimamente è entrata anche la Cooperativa Erbe Aromatiche di Pancalieri, zona in provincia di Torino tradizionalmente vocata alla produzione di essenze, a dimostrazione che il vermouth è sostanzialmente un prodotto agricolo”, racconta Bava.
Il disciplinare prevede anche la tipologia Vermouth di Torino Superiore che si attribuisce a prodotti aromatizzati con erbe coltivate o raccolte in Piemonte, oltre ad avere una gradazione non inferiore a 17% vol. e a essere realizzato con almeno il 50% di vini piemontesi. Naturalmente la principale fra le erbe usate nell’aromatizzare il vino continua ad essere l’artemisia, in latino Artemisia Absinthium, ovvero l’assenzio. Che deve essere coltivato e racconto in Piemonte e usato in una quantità minima di 0,5 g/L.
E, proprio per sottolineare l’importanza di questa essenza, il nuovo logo del Consorzio con al centro la “V” di Vermouth di Torino riporta il ramo stilizzato di Artemisia. L’uso è stato già regolamentato ma non appare ancora sulle bottiglie, mentre a livello grafico si è preferito mantenere le due grafie ammesse, compresa quella più “italiana” di Vermut.
Vermouth di Torino. La storia
Se il riconoscimento dell’indicazione geografica risale solo a trent’anni fa, la storia del vino aromatizzato torinese ha circa tre secoli di storia alle spalle. “Nel 1700 si diffonde l’abitudine di consumare un bicchiere di vino amaro al mattino per scopi salutistici, ma è soltanto in una lista dei vini nelle cantine del Duca di Chiablese che appare, nel 1778, per la prima volta il Vermot” spiega Pierstefano Berta, direttore del Consorzio. In quel periodo i liquoristi di Torino mettono a punto le ricette per rendere più stabile e dolce, con l’aggiunta di alcol e zucchero, una bevanda che è ormai sdoganata dai suoi aspetti curativi, e poco a poco si conquista un posto fra le specialità da sorseggiare per piacere. Sono molti gli episodi, gli eventi che fanno straordinariamente interessante la storia del vermouth. Pierstefano Berta assieme a Giusi Mainardi li ha raccolti e raccontati in un libro fondamentale per gli appassionati “Il grande libro del Vermouth di Torino” (Edizioni OICCE).
Il successo del Vermouth di Torino
Anche a livello comunicativo il mondo del vermouth è sempre stato all’avanguardia. Nel 1833 compare sulla Gazzetta di Milano una prima pubblicità che segnala ai lettori un “nuovo e vero vino balsamico detto Vermut di Torino.” Nel 1841 è il generale-enologo Paolo Francesco Staglieno (uno dei padri del moderno Barolo) a utilizzare la fregata militare De Geneys della Regia Marina per testare la spedizione del vino aromatizzato a Rio de Janeiro e dimostrare in questo modo che poteva anche viaggiare per mare. Ma la vera rivoluzione arriva nel 1854, con l’inaugurazione della ferrovia che collega Torino a Genova, principale porto del Regno di Sardegna. La case produttrici piemontesi spostano le loro sedi vicino al tracciato ferroviario e sulle loro etichette compaiono i treni, simbolo massimo di modernità e celerità di spedizione a quei tempi.
Il vermouth si avvia a conoscere l’età dell’oro con una popolarità che non conosce confini ed è spesso identificato con la città dove è nato, tanto che al banco è usuale comandare “un Torino”. Si afferma come aperitivo e nei pranzi eleganti, nasce “l’ora del vermouth”.
La degustazione
Le varie tipologie testate in degustazione: Bianco, Ambrato, Rosato e Rosso (per l’aggiunta di caramello) si sono dimostrate adatte a vari abbinamenti, anche servite in purezza. Interessante quella con il Pecorino Toscano DOP, sia nella versione tenera che stagionata.
Il momento dell’aperitivo può essere abbinato con la nocciola Piemonte IGP dell’Alta Langa, con il cioccolato e semplicemente con qualche ciliegia. La versione Dry o Extra Dry, più esile nella sua struttura, è sembrata invece più adatta alla miscelazione che è, peraltro, uno dei canali principali di consumo del Vermouth di Torino.
“Il prossimo futuro ci vedrà impegnati con la promozione del prodotto, con la presenza alle principali fiere di settore, da New Orleans a Berlino, da Atene a Mosca puntando soprattutto sul concetto di aperitivo naturale e mediterraneo”, conclude Bava.
A cura di Dario Bragaglia