Il vaso di Amarena Fabbri. Le origini
La storia delle amarene più celebri d’Italia non può prescindere dall’incontro con l’altrettanto nota Bottega Gatti di Faenza. Erano gli anni Venti del Novecento quando il laboratorio di ceramiche emiliano elaborava per la prima volta quei decori blu su fondo bianco che all’epoca riassumevano l’immaginario di un mondo borghese accomunato dalla passione per il decò e le linee eleganti. Oggi quei vasi liberty che profumano di ciliegia sciroppata campeggiano in molti bar e cucine d’Italia, celebrando il successo planetario di un’idea partorita oltre un secolo fa da Rachele Buriani (in Fabbri), moglie di Gennaro Fabbri, fondatore dell’azienda emiliana. L’attività della famiglia Fabbri era nata agli inizi del Novecento nel ferrarese, con l’apertura della Premiata Distilleria di Portomaggiore, specializzata in liquori come l’Amaro Carducci, il Primo Maggio, il Gran Senior Fabbri (un brandy invecchiato in botti di rovere sloveno); solo nel 1915, la svolta: l’impresa si trasferisce a Bologna, nella palazzina sulla via Emilia, e la donna di casa, Rachele, sperimenta per la prima volta la ricetta della cosiddetta “Marena con Frutto”, inizialmente destinata ai mesi estivi. E a Rachele, una decina di anni dopo, Gennaro portava in dono il primo esemplare del vaso in ceramica che, ispirato ai decori dell’arte cinese, fu banco di prova per tanti maestri ceramisti, da Angelo Minghetti a Riccardo Gatti.
Un’icona del made in Italy. Inimitabile
Oggi, l’Amarena Fabbri – che nel 2015 ha festeggiato il suo centenario con una mostra allestita in Palazzo Pepoli Campogrande, a Bologna – è famosa ed esportata in tutto il mondo. E con lei, l’inconfondibile vaso – esposto in passato anche al Moma di New York - è diventato icona del made in Italy, tanto da subire imitazioni e contraffazioni. Ma dalla Cina arriva una sentenza che apre un precedente importante: ai giudici della Corte del Popolo del distretto di Shanghai Yangpu si deve la decisione di proibire ogni tentativo di replica del vaso sul territorio cinese, nel rispetto “dell’alta reputazione del packaging di Fabbri”. Il design concepito quasi cento anni fa dai ceramisti faentini (era il 1928, come racconta oggi Davide Servadei, pronipote del maestro Riccardo Gatti), dunque, è unico nel suo genere, fortemente identificativo e inimitabile: la tipica forma orientale del vaso, con la base stretta e le spalle larghe, servì in origine per garantire la funzionalità dell’oggetto, abitualmente collocato, all’epoca, sui carretti ambulanti del gelato; la decorazione, invece, è debitrice alla storia del territorio emiliano, ispirata al cosiddetto motivo rinascimentale “alla porcellana” (a propria volta frutto di suggestioni importate dai commercianti che si muovevano lungo la Via della Seta), con fiori blu scuro in campo bianco.
La vittoria del made in Italy
La sentenza è stata resa nota solo negli ultimi giorni, sebbene risalga all’estate scorsa, quando il tribunale di Shangai, chiudendo un contenzioso avviato alla fine del 2019, si è pronunciato contro le aziende dolciarie cinesi Yi Pai Chocolate e Beijing Jin Mai Xing Long Food, che per le proprie confezioni facevano uso di una decorazione blu su sfondo bianco chiaramente mutuata da Fabbri. “Questa sentenza è la riprova che il lavoro compiuto da imprenditori determinati, affiancati dalle diplomazie italiana e cinese può raggiungere risultati positivi, e che oggi anche in Cina i marchi internazionali e il nostro made in Italy sono equamente tutelati”, spiega Nicola Fabbri, presidente di Fabbri China (nel Paese l’azienda opera dal 2009). E la decisione è non solo una vittoria per Amarena Fabbri, ma pure per la Bottega Gatti, che a Faenza continua un lavoro altamente qualificato nel tramandare l’arte locale della ceramica.