Scenario, Identità Golose di via Romagnosi, ormai un punto di riferimento per gli eventi-food nella “capitale morale”. Protagonisti, Antonella Parigi, assessore alla cultura della Regione Piemonte, una regione- non dimentichiamolo- che la guida Best in travel 2019 della Lonely Planet ha messo al primo posto a livello mondiale fra le mete da non perdere nel prossimo anno. E che ha fatto della sua enogastronomia d’eccellenza un valore innanzitutto culturale.
Poi il Direttore dell’Accademia Bocuse Italia Luciano Tona, assente, invece, il Presidente Crippa: riapre dopo le feste il Piazza Duomo di Alba e lui è uno chef che sta dietro i fornelli, ma ha fatto sapere di essere soddisfatto del lavoro fatto fino a oggi e di credere “in un progetto futuro dell’Accademia che permetterà la valorizzazione dell'alta cucina italiana nel mondo”.
Poi Luisa Bocchietto, Presidente della World Design Organization, che ha progettato il vassoio per la finale di Lione, un oggetto “artistico, e di italianità riconoscibile” (nessuna anticipazione, ma si vocifera di un materiale insolito- niente metallo – e di creatività, e quella non ci manca). Più Walter Rolfo, ingegnere e consulente aziendale di professione e mago per vocazione, che ha intrattenuto i partecipanti con un piccolo show sull’ “arte di realizzare l’impossibile”.
E sembra davvero una mission impossible quella che si accinge a compiere Martino Ruggieri, il deus ex machina dell’intero incontro. Concentratissimo, un po’ teso (e chi non lo sarebbe al suo posto), con una piccola ferita alla mano procuratasi durante gli “allenamenti”, e desideroso di tornare al più presto nella “palestra-cucina” di Alba dove ha trascorso buona parte degli ultimi due anni, fra gli angeli custodi Crippa&Tona.
Italianità & creatività
Sono state le parole più ripetute nel corso della conferenza. Le ha ribadite lo stesso Ruggieri “Portiamo a Lione la nostra idea di cucina italiana, con tutta la sua creatività e concretezza. Francesi e nordeuropei considerano il Bocuse il concorso per eccellenza. L’Italia è arrivata in ritardo ad appassionarsi al Bocuse d’Or, ma il movimento che si è creato intorno a questa finale mi sembra un segnale interessante. Noi siamo un popolo di creativi; questa competizione ci impone di associare a questa indole una buona dose di capacità esecutiva. Il team è affiatato e concentrato e arriviamo alla finale con una buona carica emotiva e una forte concentrazione”.
Dietro la dichiarazione ufficiale poi ci sono quei dettagli che fanno la differenza: italianità certo - ha spiegato Ruggieri - ma non troppa: occorre che i due piatti previsti dalla finale (carrè di vitello da latte con cinque cotolette, arrostito in un unico pezzo, osso compreso e chartreuse di vegetali con crostacei) siano leggibili e apprezzabili da una giuria internazionale.
La sfida contro il tempo
Al di là di tutto – ormai le prove verranno fatte fino allo sfinimento, al Bocuse non puoi permetterti di sbagliare, le ricette si devono saper eseguire praticamente quasi a occhi chiusi – il vero problema è il tempo. Ovvero come concentrare tutto nelle 5 ore e 35 minuti previsti per la prova con una tempistica rigorosa: “Si deve fare il brodo? Tempo previsto per tagliare la cipolla 30 secondi, non uno di più - ha spiegato Ruggieri - il tutto lavorando in un box di 3 metri x2 e magari con Ducasse che ti guarda…” Insomma, tensione a mille.
Conta essere uno chef italiano che ha lavorato in Francia? Mica tanto: Ruggieri lavora al Pavillon Ledoyen di Alléno, ristorante contemporaneo, il Bocuse è “tecnica applicata alla classicità”. Speranze per la finale? Poche (anche per scaramanzia certo) “C’è uno zoccolo duro di una decina di Paesi - dal Giappone alla Danimarca, la Norvegia, l’Islanda, l’Ungheria, il Belgio, la Francia- intoccabili. Il mio sogno è una passerella di grandi chef italiani attorno al candidato, come accade per i francesi: vorrei vedere i tre stelle italiani sostenere, aiutare lo chef in gara. Ci arriveremo, con il tempo”. Insomma, se arriviamo fra i primi 10 è un miracolo (Tona azzarda fra i primi cinque…), un punto fermo da cui ripartire per la prossima edizione fra due anni.
Problemi aperti, prospettive & provocazioni
Ci vuole tempo, insomma, per costruire una “macchina vincente”. L’Accademia punta a questo: a creare una professionalità, a formare una nuova classe di chef “da Bocuse”. Cosa manca? Investimenti, innanzitutto: bisogna investire per vincere. Grazie agli sponsor attuali - Regione Piemonte prima di tutto – si è arrivati fin qui, ma si è molto lontani dagli investimenti di Paesi che puntano a vincere. Siamo Davide davanti a Golia, per ora.
La creatività va allenata e ci vuole un impegno corale e nazionale. Tocca fare squadra insomma. Ma siamo solo all’inizio di un percorso che sarà lungo.
L’assessora Parigi conferma la volontà che “l’Accademia Bocuse d'Or Italia diventi un presidio permanente di alta formazione nel campo della cucina e della cultura legata al cibo”. E lancia una sfida: perché non ci facciamo un nostro concorso italiano che possa competere con il Bocuse? Staremo a vedere.
Intanto, un tocco di glamour e di italianità riconoscibile è quello delle “divise ufficiali” della finale. Le ha create il lanificio Cerruti di Biella, storica referenza del tessile made in Italy fin dal 1881 e le ha disegnate Luciano Rossi di Filrus.
La versione “giorno” è blu brillante, pantaloni affusolati, giacchetta con collo alla coreana (e un bottone patriottico bianco-rosso-verde) vagamente stile Beatles d’annata: la indossavano Ruggieri e Tona, e donava trasversalmente a entrambi, che non è poco. La versione sera è in tessuto jacquard (una lavorazione in cui Cerruti vanta una lunga tradizione) grigia, con revers stile smoking in tinta. Se l’abito fa lo chef, siamo sulla strada giusta.
a cura di Rosalba Graglia