Clotilde è uno dei numerosi ristoranti del centro della Capitale. Un’impresa tutto sommato recente, che nel 2017 apriva battenti con l’idea di offrire a romani e turisti a passeggio per la città un salotto gastronomico curato per qualità dell’offerta e personalità degli spazi, grazie all’intuizione di un veterano della ristorazione romana come Clemente Quaglia (già titolare di Clemente alla Maddalena). Oggi, in piazza Cardelli, tra i vicoli di quel rione Campo Marzio che raccoglie insegne storiche (come Alfredo alla Scrofa) e scommesse innovative (l’enclave Retrobottega, già diventato un classico della topografia gourmet capitolina), il passeggio auspicato agli inizi dell’avventura si è più che dimezzato. Dopo il lockdown che ha paralizzato la ristorazione italiana per oltre due mesi, il ritorno alla normalità, in un centro storico solitamente affollato di turisti in arrivo da ogni parte del mondo, è lento e incerto. E trovare un equilibrio, per chi lavora nella ristorazione, tutt’altro che scontato.
I ristoranti e le difficoltà di pagare l’affitto
Si è a lungo dibattuto, per esempio, dell’impossibilità di conciliare spese di affitto decisamente elevate (nel centro della Capitale, come nelle altri grandi città d’Italia e del mondo) con incassi che hanno subito un forte ridimensionamento, sommando l’ammanco alle perdite già scontate nelle periodo di chiusura. Ed è proprio di queste ore l’ennesimo appello della Fipe al legislatore, per invitarlo a regolare il difficile dialogo tra ristoratori e proprietari delle mura dei locali, che troppo spesso si mostrano sordi alla richiesta di raggiungere un accordo per la riduzione del canone, fin tanto che la situazione resterà così precaria. Tenendo conto di un calo medio del 40% del fatturato, spiega Fipe, è necessario ridefinire gli accordi sui canoni di locazione perché sia più sostenibili, così da scongiurare il fallimento delle attività (a vantaggio, peraltro, degli stessi proprietari, che eviterebbero di ritrovarsi con un immobile sfitto sul mercato, con scarse possibilità di rimpiazzo in tempi brevi). Poiché difficilmente il compromesso è spontaneo – prosegue la federazione – il Governo dovrebbe intervenire con più decisione.
Il caso di Clotilde. Il tribunale decide lo sconto
Intanto, il caso di Clotilde potrebbe fare giurisprudenza. Vistosi rifiutare uno sconto sull’affitto dal proprietario delle mura, il patron del ristorante si è rivolto al tribunale, che con sentenza della VI sezione civile di viale Giulio Cesare ha accolto la sua richiesta, stabilendo un decremento temporaneo del canone, in virtù della crisi economica aperta dalla pandemia. La decisione è retroattiva, e comporterà una riduzione del 40% sul canone dovuto per i mesi di aprile e maggio 2020, e del 20% per il periodo compreso tra giugno scorso e marzo 2021. Normalmente, per garantirsi l’uso del locale, Clotilde versa alla proprietà 96mila euro l’anno (quindi 8mila euro al mese). Amareggiato e indisponibile a rilasciare dichiarazioni, Quaglia ha rivelato al Corriere della Sera di essere ricorso al Tribunale “in questo momento di tristezza, perché il governo non ha fatto nulla per i commercianti che non riescono a pagare l’affitto”. A orientare la decisione del giudice è stata la presunzione che in mancanza di una riduzione delle spese l’attività avrebbe seriamente rischiato di chiudere (e infatti il provvedimento ha anche stabilito la sospensione della garanzia fideiussoria, fino a un indebitamento di 30mila euro). La sentenza, dicevamo, potrebbe fare scuola. Ma certo non sembra una soluzione praticabile – a meno di non generare ulteriore caos – che singolarmente ogni esercente sia costretto a rivolgersi a un giudice per trovare un punto di equilibrio. Vedremo se il caso romano stimolerà un ulteriore dibattito.