Era considerato un vino da prendere poco sul serio, ma è diventato un protagonista colto dell’enologia mondiale e sta conquistando fette sempre più importanti di mercati e di pubblico. Parliamo del vino rosa, anzi dello sfaccettato universo dei vini in rosa e dei loro creatori: vignaioli appassionati ed esperti, che prestano alla vigna e alla cantina più attenzione, forse, di quanta ne abbiano per i fratelli maggiori rossi e bianchi. Nel mensile di agosto abbiamo cercato di capire come sta cambiando il mondo dei vini rosati. Qui un'anticipazione.
I vini rosati in Provenza
Per anni è stato ritenuto un vino da donne, frivolo e semplice, dall’anima mediterranea, da bere come aperitivo, capace di avere un qualche senso esclusivamente nelle serate estive. Ma la realtà è un'altra e pian pianino sta emergendo. Il mondo dei vini rosati è complesso e variegato, fatto di mille sfaccettature di colori, di tecnicismi e precisione, acidità e corpo. Insomma, un vino a tutti gli effetti come i suoi fratelli bianchi e rossi.
“Da tanto tempo sto indagando sui vini rosa e più mi inoltro in questo mondo più mi rendo conto della dicotomia tra territorio, immagine e moda che è un elemento, quest’ultimo, sempre più forte– racconta Filippo Bartolotta, giornalista e grande conoscitore dei mercati internazionali – I rosati appaiono quasi come una categoria fuori casta, eppure in Provenza non è così. È qui che dal 2006 si cambiano le regole del gioco con l’uscita di vini come il Garrus di Chateau d’Esclans, icona dei vini rosati, che insieme ad altri grandi provenzali ha tracciato la strada per vini dal colore rosa tenue che influenzano oggi i mercati e le tecniche di produzione”.
Il boom in Provenza
È provenzale, forse non a caso, il rosato più caro al mondo, battuto all’asta lo scorso maggio per 2.600 euro: il Muse Miraval, versione magnum, prodotto nello Chateau omonimo di proprietà di Brad Pitt e Angelina Jolie.
Il consumo dei vini rosati sta però crescendo in tutto il mondo, con progressioni significative in paesi come gli Usa. Dai dati emersi dall’indagine Il mercato dei vini rosati: evoluzione & prospettive, affrontato da Denis Pantini del centro studi Nomisma Wine Monitor, si registra un consumo mondiale in aumento dovuto alla versatilità di questi vini che ben si adattano ai cambiamenti sociali e agli stili di vita delle nuove generazioni che cercano spesso prodotti dalla facile beva.
La Francia è il primo produttore al mondo, con il 5,5% della produzione mondiale nella denominazione (Aop) Provence, tanto da posizionarsi ai vertici dei mercati con un consumo nel 2017 di 23,4 mln di ettolitri. Un successo di vendite dovuto al consumo interno: in Francia infatti i rosati sono considerati alla stregua dei vini fermi: zero complessi di inferiorità. Un’identità che l’Italia tarda a comprendere.
Vini rosa (non rosati)
“Io non parlo mai di rosato, ma di ‘vini rosa’ – afferma, e non da oggi, Luigi Cataldi Madonna, rappresentante di terza generazione dell’omonima azienda – Se ci pensate rosato è il participio passato di un verbo che non esiste e se volessimo parlare anche di rosé per questi vini, ci troveremo di fronte a un termine anacronistico, sarebbe come dire abat jour invece di lampada, come facevano i nostri nonni”. Ma in Italia, sebbene le vendite di rosati in GDO siano aumentate in termini di valori e volumi, la sensazione di un vino minore continua a esserci eccome.
“Una sensibilizzazione maggiore verso gli organi commerciali, nella fattispecie enotecari, sommelier e ristoratori che dovrebbero ampliare sempre di più la proposta dei prodotti a scaffale e nelle carte dei vini, potrebbe migliorare e intensificare il commercio dei vini rosa – dice Ilaria Donateo, presidente dell’associazione De Gusto Salento e ideatrice di Roséxpo, Salone Internazionale dei Vini Rosati - Sicuramente Rosèxpo, come altri eventi di settore, come Bere Rosa o Italia in Rosa, hanno aumentato l’attenzione dell’utente finale, che però poi non trova riscontro dei prodotti nelle enoteche e nelle carte dei vini dei ristoranti”.
L’alleanza dei vini rosa italiani
Ma a diffondere la cultura del drink pink, ci pensa Rosautoctono, l’Istituto del Vino Rosa Autoctono Italiano, costituito lo scorso marzo e che raccoglie i Consorzi di tutela delle denominazioni di origine più rappresentative del settore (Bardolino Chiaretto, Valtènesi Chiaretto, Cerasuolo d'Abruzzo, Castel del Monte Rosato e Bombino Nero, Salice Salentino Rosato e Cirò Rosato) con l’obiettivo di dare una spinta decisiva, non solo dal punto di vista promozionale, ma anche economico e culturale, ai più significativi territori vocati alla produzione di questa tipologia di vino.
La palette dei vini rosati italiani
“Abbiamo voluto usare la nuova definizione di vino rosa – spiega il presidente Franco Cristoforetti – in quanto quella di rosato è una definizione prevista solo per alcune denominazioni. Questo per sottolineare come le identità vadano sempre salvaguardate fin dai nomi utilizzati. Quanto al colore, se crediamo nell’identità e nella territorialità del vino, non possiamo che avere una diversa tonalità di rosa da una zona all’altra. I nomi aiutano: il Chiaretto si chiama così sul lago di Garda, a Bardolino e in Valtènesi, perché è chiaro, il Cerasuolo descrive il color ciliegia che si ha in Abruzzo dalle uve di montepulciano. La Docg Castel del Monte Bombino Nero si focalizza su un vitigno che dona una specifica sfumatura. Un rosato di negroamaro nel Salento e uno di gaglioppo a Cirò hanno per forza toni diversi: uno verso il corallo, l’altro verso la buccia di cipolla. Rosautoctono nasce per promuovere e valorizzare queste diversità, che sono dei valori: noi crediamo che la clientela voglia riconoscere e apprezzare le specifiche identità territoriali. L’Italia si differenzia dalla Francia solo se valorizza le singole identità dei suoi vini rosa, a cominciare dai loro diversi colori”.
Nel mensile di agosto del Gambero Rosso continua l'excursus sui vini rosa, con un focus sulla Puglia, regione che ha dato vita al primo rosato imbottigliato nella storia del vino italiano: il celebre Five Roses dell’azienda Leone de Castris.
a cura di Stefania Annese
QUESTO È NULLA...
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