La cucina nordica e il modello Noma
Solo qualche giorno fa Renè Redzepi, lo chef che per primo ha saputo dimostrare al mondo l’esistenza di una cucina nordica in grado di affermarsi nel panorama internazionale e anzi modello per la ristorazione d’autore contemporanea, raccontava tramite un vero e proprio manifesto programmatico la sua voglia di coinvolgere tutta la Danimarca in un progetto educativo (e didattico, sin dalla scuola dell’infanzia) per la valorizzazione del territorio Nord Europeo e delle risorse naturali commestibili più improbabili. Lezioni di foraging per tutti, questo l’obiettivo principe dell’iniziativa Vild Mad (o Wild Food, che dir si voglia: ve ne abbiamo parlato qui). Intanto lo chef restava saldamente alla guida del Noma, il ritrovo più esclusivo (ed estremo) di Copenaghen, a più riprese in vetta alla classifica della 50 Best, solo terzo secondo l’ultimo verdetto londinese (a precederlo i fratelli Roca e il nostro Massimo Bottura), ma pur sempre in vetta alle preferenze internazionali. Forse proprio per la proposta coraggiosa di chi non ha paura di procedere per la propria strada, supportato da un efficiente laboratorio di ricerca e da un team eccellente che ogni anno non manca di mettere in luce nuovi talenti e future promesse della cucina d’autore.
La trasferta australiana. E poi?
Il prossimo inverno, dopo il successo dell’esperienza giapponese (a Tokyo), il Noma sarà di nuovo in trasferta con tutta la sua brigata: a Sidney ringraziano sentitamente e già si sono messi in fila per riservare un posto nel temporary restaurant d’eccezione che sorgerà a ridosso del porto turistico. Ma cosa bolle nella pentola di Renè Redzepi? A svelarlo è il servizio fotografico pubblicato dal New York Times, che mostra un sorridente Redzepi mentre misura lo spazio di una desolata periferia urbana, proprio al limitare della città libera di Christiania – apprendiamo dalla testata americana –, una delle principali attrazioni turistiche della capitale danese.
Il nuovo Noma: una fattoria urbana a Christiania
Cosa succederà dunque al Noma? A dicembre 2016, con il servizio di Capodanno, si chiude. Ma solo per qualche mese, in attesa di riaprire lì dove ora sterpaglie e graffiti hanno preso il sopravvento. Proprio lì nascerà un nuovo Noma, che lo chef vuole ridisegnare come fattoria urbana, pronta a produrre in autonomia tutti i prodotti necessari alla cucina. Ma non si tratta di abdicare al progetto di cui sopra, anzi la ricerca su specie autoctone e rarità vegetali continuerà proprio sul tetto del nuovo edificio, dove troveranno spazio serre e orti pensili. Brutte notizie, invece, per i carnivori: niente più carne (almeno in primavera e estate, quando l’orto offre infinite possibilità) e identità gastronomica ancor più sostenibile, sulla scia di un sentimento trasversale che accomuna grandi chef come Alain Ducasse o Pietro Leemann. In autunno torneranno sulla tavola selvaggina, funghi e bacche selvatiche; mentre l’inverno sarà il regno del mare e del pesce. La proprietà acquistata dallo chef alla periferia di Copenaghen include anche un lago, che garantirà un più ampio ventaglio di possibilità produttive. “Dramatic evolution” la definisce René Redzepi riassumendo il passo che è pronto a compiere per assicurare un futuro al Noma e al suo personale concetto di ristorazione. Non necessario, piuttosto ineluttabile. Perché assumere rischi fa parte del gioco.
a cura di Livia Montagnoli
Foto Laerke Posselt per il New York Times (qui le altre foto)