Per il consumatore del 2020, se dici biologico dici sano e naturale, di alta qualità e rispettoso dell’ambiente. E la pandemia da Covid-19, in pochi mesi, ha dato un’ulteriore spinta al trend salutistico che si sta affermando nelle preferenze degli acquirenti. A beneficiarne è un settore che l’Italia ha sviluppato con convinzione negli ultimi 20 anni, diventando punto di riferimento internazionale. Un settore che ha raggiunto un giro d’affari al consumo di 4,3 miliardi di euro (+7%), ha superato 2,4 miliardi di euro all’export lo scorso anno e sarà uno degli assi portanti futuri del Governo, nell’ambito dei piani di attuazione della strategia europea Green deal - farm to fork e Biodiversità, i cui obiettivi mirano a triplicare entro il 2030 le superfici bio e a tagliare del 50% l’uso dei pesticidi.
Nello specifico segmento del vino, i segnali di crescita sono stati evidenti, sia nel 2019 sia durante il lockdown della scorsa primavera, in particolare nel canale grande distribuzione, e stanno spingendo molti imprenditori a credere nelle opportunità di business in questa categoria. Tuttavia, nonostante il quadro legislativo europeo sia chiaro sui vini biologici, il nostro Paese (terzo in Ue per superfici) sta tentennando un po’ troppo nell’approvazione della legge quadro, il Testo unico sul Bio, ferma da due anni in Senato. Sono forti le resistenze di una parte dell’industria agricola legata al convenzionale, supportata da discutibili argomentazioni scientifiche a riguardo che, secondo la Federbio, rischiano di far perdere all’Italia quote di mercato, rispetto a una Francia e a una Spagna che stanno andando a velocità doppia, proprio nel momento in cui la Commissione Ue ha scelto la linea green e sostenibile.
Il Testo unico al rilento in Senato
Dopo oltre due anni di limbo sembra che qualcosa si stia muovendo nelle aule parlamentari in materia di biologico. La Commissione agricoltura al Senato dovrebbe riprendere la discussione sul Testo unico del bio, arenatosi più volte per i veti incrociati legati a interessi lobbistici, come rileva Federbio. Il settore, dopo la legge 20 del febbraio 2018, che ha fatto chiarezza sul tema dei controlli e delle sanzioni agli operatori, ha atteso un riordino complessivo che non è ancora arrivato. La presidente di Federbio, Maria Grazia Mammuccini, parla di forti resistenze: “Da un lato, una rete scientifica legata alla cosiddetta rivoluzione verde e alla chimica di sintesi si è fatta sentire nei confronti dei nostri senatori, con argomentazioni talvolta molto dubbie, spingendoli a ritardare l’iter del provvedimento. Da un altro lato, seppure le organizzazioni agricole si siano dette favorevoli alla legge, in realtà devono anche difendere ancora il sistema convenzionale che è quello praticato dalla maggioranza dei loro soci”.
I punti controversi
Tra i punti più contestati del Testo unico c’è il riconoscimento del valore ambientale e sociale dell’agricoltura biologica: “Non piace questa attribuzione di priorità nelle politiche del Green deal”. Ma c’è anche un altro punto controverso: “Il Fondo per l’agricoltura biologica prevede un piano di investimenti per ricerca, formazione e innovazione. E anche questo” spiega la presidente di Federbio “appare a una parte dell’industria come un’errata destinazione d’uso delle risorse economiche”. A proposito di ricerca, il Mipaaf ha appena messo a punto il nuovo bando nazionale per l’agricoltura bio da 4,2 milioni di euro.
Il nodo della tutela dalle frodi
Oltre a riconoscere i Distretti biologici (e ne sono nati diversi, soprattutto nel settore vino in Toscana, come quello del Chianti o di San Gimignano), il Testo unico del bio regola anche aspetti decisivi per il futuro di tutto il segmento, a partire dalla difesa dai falsi prodotti. Oggi Federbio collabora con le autorità, dispone di un’unità di crisi interna ma non possiede agenti vigilatori. Attualmente, la catena di controllo ha bisogno di maggiore coordinamento e integrazione. Ecco perché risultano decisive le linee di indirizzo del Testo unico per organizzazioni dei produttori, reti di impresa e interprofessione: “Il bio è oggi un marchio certificato e regolato a livello europeo al pari delle denominazioni d’origine che” sottolinea Mammuccini “per difendersi, a partire dal vitivinicolo, possono contare sui consorzi di tutela. Invece, il biologico non ha questo tipo di strumento e ciò potrebbe creare gravi difficoltà a tutto il sistema nella sua capacità di difendersi dalle frodi, in un mercato in cui è crescente la domanda e l’interesse delle imprese a diventare o a dichiararsi biologiche. Approvare la legge è, in conclusione, assolutamente necessario. L’Europa ha scelto la linea verde con linee strategiche innovative che l’Italia, Paese avanzato, deve saper intercettare e anticipare per poter finanziare la transizione. In gioco” conclude la presidente di Federbio “c’è la nostra leadership”.
Spiragli per l’approvazione.
Dalla Commissione agricoltura al Senato arrivano buone notizie. Mino Taricco (Pd) riferisce a Tre Bicchieri che “nel merito del provvedimento sul bio è stato raggiunto un accordo tra le forze politiche. La discussione riprenderà a breve. I ritardi dell’ultimo anno sono stati determinati dal superlavoro per il Covid e dal fatto che si attendevano dei pareri di altre tre Commissioni. Ma voglio assicurare che anche da parte nostra c’è la volontà di dare all’Italia una legge chiara e il più velocemente possibile”.
Il biologico in italia: analisi di un segmento in crescita
Italia tra i leader in Ue
I numeri più recenti, resi noti al Sana di Bologna, fiera di respiro internazionale che ha staccato i 30 tagliandi, ci dicono che oggi il 15,8% della superficie agricola utilizzata (sau) italiana è a biologico, pari a quasi 2 milioni di ettari. Metà di questa si trova in quattro regioni: Sicilia, Puglia, Calabria ed Emilia Romagna. I consumi domestici hanno raggiunto i 4,3 miliardi di euro di giro d’affari (incluso il food service). Le 80 mila aziende bio italiane rappresentano il 6,2% di quelle attive e sono cresciute del 2% nel 2019 sul 2018, con 1.600 nuovi operatori. In Europa, i grandi competitor si chiamano Francia e Spagna ed entrambe superano i due milioni di ettari a bio. “L’Italia” ha ricordato la Ministra per le Politiche agricole, Teresa Bellanova “ha praticamente raggiunto l'obiettivo dell'aumento del 50% della superficie agricola coltivata a bio tra 2014 e 2020 (da 1.367.912 ettari nel 2014 a 1.993.236 ettari nel 2019) e, per gli stessi anni, dell'incremento del fatturato del mercato bio del 30%. Ora è necessario lavorare per organizzare meglio la filiera, e far sì che tutto il prodotto biologico ottenuto da quel 15,8% della superficie bio italiana sia opportunamente valorizzato sul mercato e, soprattutto, giustamente remunerato. Con questo obiettivo, stiamo lavorando sui criteri per utilizzare il fondo costituito nell'ultima finanziaria, con una dotazione di 20 milioni per i prossimi 4 anni”.
Crescono export ed e-commerce
Invidiabili le performance delle esportazioni di agroalimentare bio italiano. Nel 2019, le vendite sui mercati internazionali hanno raggiunto quota 2,4 miliardi di euro mettendo a segno una crescita del 7% rispetto all’anno precedente. E le stime di Nomisma per la fine del 2020 parlano di vendite a 2,6 miliardi con un ritmo di crescita dell’8% sul 2019 e un’incidenza del 6% sul totale export agroalimentare italiano. Se si guarda al canale online, le vendite di bio nell’e-commerce incrementano a tre cifre: +143% rispetto al 2019, superiore alla media delle vendite online di alimentari in generale (+125%). E, come fa notare l’Assobio (che riunisce trasformatori e distributori), dopo il boom nel periodo lockdown, le vendite di bio dell’e-commerce continuano a un ritmo elevato e più performante degli alimentari, in generale riportando un +182% rispetto allo stesso periodo di un anno fa.
Quanto vale comparto del vino bio?
In Italia, la vite da vino occupa il quinto posto tra le coltivazioni biologiche, dopo prati e pascoli, colture foraggere, cereali e olivo. Gli ettari totali vitati sono 107 mila, di cui 25 mila in conversione e 82 mila convertiti, e sono raddoppiati dal 2011 quando erano poco più di 51 mila. Nel mondo, la superficie vitata a bio (uva da vino e da tavola) supera 422 mila ettari (dati 2018) e vale il 6% della superficie totale; quasi 350 mila ettari sono in Europa e l’Italia vanta un quarto delle vigne biologiche su scala mondiale. Tra 2019 e 2018, l’Italia ha registrato un +2,8% ma va detto che Francia e Spagna stanno facendo decisamente meglio, considerando che la prima ha registrato un incremento del 19% e che la seconda un +7%. Guardando ai mercati, Germania, Francia, Regno Unito, Stati Uniti, Svezia e Giappone sono tra i più importanti consumatori di vino biologico. L’Italia è tra i primi dieci, con percentuali intorno al 2,5% sul totale rispetto al 24% della Germania che è in testa ed è anche il primo acquirente del bio italiano, seguito dagli Stati Uniti.
Il bio decolla in Gdo e durante il lockdown
Come sono andate le vendite di biologico negli ultimi mesi? La fase di lockdown ha fatto decollare la spesa per il vino bio anche se – va sottolineato – in Italia questo segmento incide per appena l’1,4% sul totale degli acquisti di prodotti agroalimentari. Tuttavia, è una nicchia che ha fatto registrare numeri importanti. Tra il 9 marzo e il 17 maggio 2020, i vini sono cresciuti del 12% e gli spumanti del 4% in grande distribuzione. Allargando l’orizzonte a giugno 2020, i consumi di prodotti agroalimentari biologici in Gdp sono cresciuti in media del 4,4% rispetto ai 12 mesi precedenti. Vini e spumanti, in particolare, hanno registrato un +15,5%, nettamente al di sopra della media del comparto. A trainare sono stati i rossi, che rappresentano il 57% delle vendite in Gdo e con un incremento del 12,8% su base annua. Ancora esigua, invece, la percentuale dei biologici a denominazione: per 100 euro di spesa al supermercato per un vino rosso Salento Igp solo 5,3 euro sono riconducibili a un prodotto biologico; l’incidenza è maggiore per i bianchi, con punte nel Moscato D’Asti per una spesa di 7,7 euro su 100 euro.
L’analisi dell’istituto Iri
Grazie alle anticipazioni di Iri (istituto di ricerca sul largo consumo) possiamo guardare fino a settembre 2020. Da gennaio, il vino cresce del 4,9% a volume e del 5,8% a valore secondo un trend, rileva Virgilio Romano, business insights director di Iri, in evidente rallentamento rispetto agli anni precedenti, quando la crescita superava il 20% nel 2018 (mentre il 2019 ha chiuso con un +11,9% a volume). “Il 2020 è allineato al 2019” rileva “pur beneficiando della spinta del trimestre marzo-aprile-maggio. Ma occorre lavorare molto per uscire dalla nicchia che attualmente rappresenta una quota in valore poco sopra l’1,5%”. E in materia di prezzi al consumatore: “Oggi” osserva Romano “il premio da pagare per un vino bio è importante (+50%) ed è bene rimanga tale. Diversamente, regnerebbe la confusione agli occhi degli shopper e non si capirebbe più la differenza tra un vino bio e uno che non lo è”.
Certificazioni in crescita
Valoritalia è attualmente il più grande organismo di certificazione nel settore vitivinicolo. Il direttore Giuseppe Liberatore spiega che “la crescita del comparto è evidente” anche da questo punto di osservazione: “Oggi, abbiamo quasi 1.900 imprese certificate bio, di cui mille nel solo comparto vino. E se guardo indietro di tre o quattro anni i numeri erano pari a un quarto di quelli attuali. Crescono anche le certificazioni Sqnpi legate alla produzione integrata, segno di una sensibilità delle imprese che incontra quella di un consumatore più attento alla sostenibilità dei prodotti e a cui va comunicato il valore aggiunto di un prodotto certificato". Come ha fatto notare l’Ismea, illustrando i dati Nielsen al Sana di Bologna, ci sono “ancora importanti margini di crescita e di promozione del prodotto certificato”, anche se l’Italia non ha messo ancora a posto tutti i tasselli per un marketing adeguato.
a cura di Gianluca Atzeni
foto in apertura di Michael Schwarzenberger
Articolo uscito sul numero di Tre Bicchieri del 15 ottobre 2020
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