Di carne coltivata (e ormai anche pesce) si continua a parlare da un po’. Ma ora è il turno del latte coltivato, prodotto da una startup in Israele, Remilk. Un progetto nato nel 2019 con l’intento di riprodurre le proteine del latte attraverso un processo di fermentazione a base di lievito, sistema che le rende chimicamente identiche a quelle presenti nel latte. Questo non significa che il sapore sia lo stesso del latte vaccino, “quasi uguale” dicono dalla startup, ma può essere comunque un’ottima alternativa per chi non può consumare proteine del latte o è intollerante al lattosio, oppure chi non vuole un latte prodotto tramite sfruttamento animale. Il premier di Israele Benyamin Netanyahu è entusiasta della novità, tanto che ha recentemente visitato lo stabilimento della Remilk, commentando il progetto come un “l’inizio di un balzo in avanti, una pietra miliare in un’area in cui Israele è già un leader tecnologico”.
L’Italia contro il latte coltivato: non è “naturale”
Lo sviluppo del latte coltivato, inoltre, secondo il primo ministro “rafforzerà l’economia di Israele, la sua sicurezza alimentare, aiuterà ad affrontare i cambiamenti climatici e a sostenere il benessere degli animali”. Israele si pone così “in prima linea nella ricerca mondiale e di sviluppo di food-tech” grazie all’apertura del mercato a prodotti innovativi. Intanto, l’Italia resta ferma sulle sue idee, sul suo no deciso, non cogliendo la grande opportunità rappresentata dai prodotti coltivati, che si tratti di carne o di latte creato senza le mucche. Coldiretti è come sempre la prima associazione di categoria a farsi sentire: basti ricordare il volantino fuorviante che ha fatto circolare lo scorso marzo, mettendo a paragonare il cibo sintetico – definizione per altro errata, perché per la carne coltivata non avviene alcuna sintesi – e quello naturale, chiedendo al consumatore “da che parte stai?”. Anche in questo caso torna il mantra della naturalità: il latte coltivato è invece “un prodotto ingegnerizzato con processi di lavorazione molto più simili a quelli dei farmaci” secondo il presidente di Coldiretti Ettore Prandini. Lo stesso che durante l’evento Tuttofood a Milano ha dedicato addirittura un convegno a “I rischi del cibo sintetico”, creando insieme a Filiera Italia, Assica, Assolatte, Unaitalia e Assocarni “la prima alleanza contro l’assalto del cibo sintetico alle tavole mondiali e a comparti strategici del vero made in Italy agroalimentare”.
Lollobrigida: “stiamo difendendo il futuro dei nostri figli”
Quello della tutela dell’ambiente per Assolatte è solo un “pretesto” per “investitori senza scrupoli” che cercano di promuovere un prodotto “tutto fuorché naturale, ed è quindi nemico dell’ambiente”. A parlare è il presidente di Assolatte – l’associazione italiana lattiero casearia – Paolo Zanetti, che si scaglia duramente contro il progetto Remilk (e simili), rivendicando la “naturalità” del latte vaccino: “Dobbiamo arrestare questa corsa senza senso, fermare i cibi Frankenstein e salvaguardare il latte che è un vero patrimonio mondiale dell’umanità”. Coldiretti gli fa eco, naturalmente, perché si tratta di prodotti “nati in laboratorio senza aver mai visto neppure l’ombra di una mucca”, e così anche Lollobrigida, ministro dell’Agricoltura, della Sovranità alimentare e delle Foreste, che prontamente gioca la carta jolly dei bambini, “stiamo difendendo il futuro dei nostri figli, è giusto mettere la qualità al centro del cibo che mangiamo”.
Perché il latte coltivato fa paura
Bambini, “genuinità”, cibi “Frankenstein”, mucche al pascolo e quell’implicito si è sempre fatto così che serpeggia nell’aria. Ma cerchiamo di capire meglio quanto vale questo settore “naturale” della fattoria Italia: i dati più recenti in arrivo da Assocarni parlano di 9.3 miliardi di euro di fatturato per la filiera del bovino, che in Italia rappresenta più del 4.5% del comparto della produzione agroalimentare. Numeri significativi che si ritrovano anche nell’industria del latte, che riveste un ruolo di primaria importanza nel sistema agroalimentare nazionale, attestandosi a oltre 4.9 miliardi di euro secondo i dati Ismea di fine 2022. Insomma, si difende il made in Italy, il cibo sano “amico dell’ambiente” ma anche un grandissimo fatturato. Ma siamo sicuri che “genuino e fatto come un tempo” sia sinonimo di qualità? Un esempio perfetto è quello con l’olio extravergine di oliva, argomento su cui ci siamo espressi più volte: l’olio di una volta, quello realizzato con frantoi di un tempo con molazze non è affatto un prodotto qualitativamente superiore a quello attuale, frutto di tecniche moderne e frantoi d’avanguardia. Naturalmente, il tema del cibo coltivato è diverso, ma non poi così lontano concettualmente… un nuovo sistema di produzione, meno “naturale”, senza lo sfruttamento di animali non è necessariamente sinonimo di cattivo gusto né di un inferiore livello nutrizionale.
Servono più ricerche, certo, dati maggiori, investimenti a cui l’Italia per ora sembra non prestare la minima attenzione. Perché il cibo fatto in laboratorio ci fa così paura? Si tratta di un’innovazione che, come ha dichiarato Prandini di Coldiretti, “può cambiare la vita delle persone e l’ambiente che ci circonda mettendo a rischio la stessa democrazia economica e alimentare”. O piuttosto mettendo a repentaglio un mercato fiorente su cui molti consumatori – nonostante l’84% degli italiani si sia per il momento dichiarato contro gli alimenti sintetici – si stanno continuando da anni a porre domande, per ragioni etiche, ambientali e animaliste. E forse è questo a far davvero paura, e a impedire una ricerca approfondita sul potenziale del cibo coltivato. Che all’estero, nel frattempo, prosegue mettendo a segno un altro bel colpo.