Il Marchesino. Gli inizi, gli obiettivi
L’ironia della sorte è che il responso sul destino del Marchesino sia arrivato a poche ore dalla scomparsa di Gualtiero Marchesi. Ma certo non è un caso che, alla fine dei conti, la Marchesi Milano srl continuerà a gestire quegli spazi, adiacenti al Teatro della Scala, che nel 2008 segnavano il ritorno del Maestro nella sua Milano, dopo la parentesi dell’Albereta. Dieci anni (la concessione sarebbe scaduta il prossimo marzo) per mettere insieme una proposta funzionale agli spettacoli della Scala, caffetteria, bistrot, sushi bar all’italiana e ristorante con apertura da mattina a sera, che all’epoca – e superato il clamore che aveva accompagnato i fasti del primo Marchesi di via Bonvesin de la Riva - concretizzava la tenacia di farcela ancora una volta, a tornare sulla cresta dell’onda. Essere moderno, ambizione che non ha mai difettato al cuoco, e all’uomo, così pervicace nel cercare di dare forma a un modello di ristorazione urbana di respiro internazionale. Introducendo però, e dandogli lustro, gli elementi di una narrazione che qualche decennio prima, negli anni Ottanta, avevano fatto di lui, e del suo ristorante, il centro propulsore di nuove istanze gastronomiche, artistiche e culturali, sommandole sotto l’egida della cucina totale.
La Minextra (2009)
Tra avanguardia e retrospettiva
I tempi, intanto, erano cambiati non poco, Marchesi continuava a giocare la sua partita, strenuo ambasciatore di un mondo che per tanti versi non c’era più. Gli arredi disegnati su misura con la collaborazione dell’architetto Ettore Mocchetti, l’illuminazione studiata, la cucina a vista. E poi le posate, i segnaposto, le tovaglie. La passione per la musica a fare da fil rouge. In tavola i piatti signature, col dejavù di sfogliare il catalogo di una “collezione” d’arte… Il Raviolo aperto, il Dripping, il Riso Oro e Zafferano, dove quello che era stato avanguardia diventa retrospettiva. E le nuove proposte di cucina, più agili, per un pranzo veloce, o un dopoteatro rilassato (con lui, al debutto del Marchesino, gli chef Domenico Deraco e Daniel Canzian, alla pasticceria Galileo Reposo, oggi da Peck). Una recita a spartito ben congegnata, ma non necessariamente intonata. Alla vigilia dell’inaugurazione alla Scala, Marchesi arrivava in polemica con la guida Michelin, rea di avergli tolto la terza stella all’Albereta di Erbusco: il Maestro non aveva gradito, ingaggiando una rivendicazione d’orgoglio che l’avrebbe portato a essere escluso dai giochi.
La ricerca della modernità
Ma nel Marchesino, seppur con un risultato da molti considerato straniante (se non anacronistico), il cuoco si impegnava ancora una volta a portare se stesso. Qualche anno dopo, senza perdere il gusto per la provocazione (ma sempre con garbo), a chi lo invitava a indicare “un artista contemporaneo con un futuro assicurato nella storia dell’arte”, rispondeva semplicemente: “Io, Gualtiero Marchesi”. Nella stessa occasione, del resto, lo ribadiva senza mezzi termini: “L’oggetto a cui sono più legato è il mio cervello”. Bene, o meno bene, che si mangiasse al Marchesino, Gualtiero Marchesi aveva continuato a far parlare di sé, e non solo attraverso le gesta di quella nutrita schiera di promettenti allievi che oggi occupano posti di rilievo nella moderna ristorazione italiana (a tal proposito, l’ultimo ricordo di Carlo Cracco: “Nella ristorazione era a livelli troppi alti e molti non l’hanno mai capito anche se ora che è scomparso, tutti lo chiamano maestro. Sono curioso di sapere quanti tra costoro si sono accomodati al Marchesino, ben pochi temo”).
Così nel suo Marchesino investiva idee e risorse, come quando, era l’estate 2014, pensò di dotare la sala di un servizio di ordinazione ipertecnologico, con iPad in tre lingue a sostituire la carta, per indicare intolleranze e preferenze, e visualizzare i piatti in menu, attraverso gli scatti che veicolano la dimensione estetica del piatto, esaltandone il momento creativo. Una sperimentazione tanto audace, quanto compiaciuta, con il commensale invitato ad approfondire la conoscenza del Maestro tra una portata e l’altra, navigando tra i contenuti speciali: testi, video, link per raccontare Gualtiero Marchesi e la sua idea di cucina. Anche il Marchesino, insomma, ha fatto la storia di chi l’ha inventato.
Il futuro del Marchesino
E la buona notizia arriva con l’apertura delle buste del bando europeo che nel 2018 avrebbe dovuto decidere per la nuova concessione, 6 anni più 4 per la gestione dello spazio dietro pagamento di un canone annuo non inferiore ai 200mila euro. In gara due contendenti: la società Marchesi, attuale gestore, e la Real 2 srl dell’imprenditore Vincenzo Morabito, che nel progetto aveva coinvolto lo chef del Piccolo Lago Marco Sacco. L’assegnazione però (non scontata, fino all'ultimo) è andata a favore del gruppo Marchesi, tenendo conto di criteri che esulano dalla mera offerta economica. Per esempio la notorietà del brand, l’impegno a valorizzare spazi (che con probabilità saranno sottoposti a ristrutturazione) e servizio di accoglienza, gli attestati di merito ricevuti negli anni. Di tutto ciò ha tenuto conto la Fondazione Teatro alla Scala, che da marzo farà partire altri 10 anni di concessione per l’attuale gestione. E ora c’è un motivo in più per rilanciare la memoria del luogo (restano la brigata e i piatti storici del Maestro in menu, subentra Ladurée, che gestirà in partnership la pasticceria, e proporrà presso alcuni punti vendita nel mondo i piatti di Marchesi, concretizzando i sogni di internazionalizzazione del brand cari al cuoco, che per l'esportazione della cultura gastronomica e culinaria italiana, nella sua semplicità, si è sempre battuto): celebrare il ricordo di Gualtiero Marchesi. Per chi volesse ricordarlo prima, i funerali si svolgeranno domani, 29 dicembre, alle 11, presso la chiesa di Santa Maria del Suffragio, Milano. Prima però, e per tutta la giornata, fino alle 20 di stasera, la camera ardente per l'ultimo saluto, al Teatro Dal Verme.
Il Marchesino - Milano - via Filodrammatici, 2
Marchesi alla Scala - Milano - piazza della Scala, angolo via Filodrammatici
a cura di Livia Montagnoli