Il rapporto di Terra! sullo sfruttamento del lavoro agricolo
Vuoti normativi, squilibrio nel potere di mercato, debolezza dei controlli nelle filiere di importanti produzioni agroalimentari. Sono molteplici i temi affrontati dall’ultimo rapporto dell’associazione Terra!, e tutti concausa dello sfruttamento del lavoro in agricoltura, piaga che affligge non solo l’Italia, ma l’intera Europa Mediterranea. L’obiettivo dell’indagine – significativamente intitolata E(U)xploitation. Il caporalato: una questione meridionale. Italia, Spagna, Grecia – infatti, è quello di ampliare l’orizzonte di riferimento del dibattito oltre i confini italiani, per chiedere che il caporalato e le disfunzioni della filiera agricola vengano affrontate a livello europeo, con un impegno coordinato da parte delle istituzioni. Il rapporto è frutto di un lavoro collettivo che raccoglie inchieste sul campo svolte in tre Paesi chiave per l’agricoltura comunitaria: Italia, Spagna e Grecia. Il primo capitolo, sull’Italia, è stato realizzato da Fabio Ciconte, direttore di Terra!, con il giornalista Stefano Liberti; il secondo, sulla Spagna, dalla giornalista Mariangela Paone; e il terzo, sulla Grecia, dal giornalista e ricercatore Apostolis Fotiadis.
Le analogie tra Italia, Spagna e Grecia
Ne emerge un quadro d’insieme non incoraggiante: la condizione dei braccianti nei tre Paesi dell’Europa mediterranea è simile e drammatica. Intenzione del rapporto, però, è prima di tutto quella di contribuire alla causa della lotta allo sfruttamento del lavoro risalendo alle origini del problema, dovuto in primis alla fragilità delle economie dell’Europa Meridionale. Altro comun denominatore ai tre Paesi è l’elevata presenza di stranieri impiegati nel settore agricolo, spesso vittime designate di vaste sacche di irregolarità, malpagati, privati dei diritti essenziali, invisibili (in Grecia, addirittura il 90% della manodopera agricola è composta da migranti, pagati in nero e non assicurati).
Le insidie del lavoro grigio
E non si parla solo di lavoro nero, ma anche di pratiche penalizzanti per i braccianti, come il lavoro a cottimo e il lavoro grigio, ampiamente diffuse in Italia e Spagna. Nella Penisola, l’indagine si è concentrata sulla Piana del Sele, l’Agro Pontino e il Foggiano, aree agricole dove emergono le principali criticità (senza dimenticare che lo sfruttamento del lavoro agricolo affligge tutta l’Italia): il lavoro a cottimo è particolarmente presente nell’Agro Pontino, dove i pagamenti sono erogati in base ai “mazzetti” di ortaggi raccolti, che seguendo tabelle del tutto informali, vengono poi convertiti in giornate lavorate. Il lavoro grigio, invece, si basa su un tacito - e spesso obbligato - accordo tra il lavoratore e l'imprenditore agricolo: l'imprenditore si assicura un lavoro continuativo tutto l'anno, ma non registra mai più di 180 giornate, oltre le quali sarebbe obbligato a contrattualizzarlo. In questo modo, paga meno tasse e costringe il lavoratore in una condizione di subalternità. In Spagna, dove l’indagine si concentra nell’area della Murcia (l’orto d’Europa), sono le agenzie di lavoro interinale ad abusare di un potere crescente, contravvenendo all’applicazione del contratto collettivo di settore. Ma il sistema agricolo spagnolo, sempre più retto da grandi proprietari terrieri, è responsabile anche di avallare la cosiddetta contratación en origen, il reclutamento diretto di lavoratori in Paesi terzi, soprattutto in Marocco, dove si reclutano braccianti per la raccolta delle fragole, spesso sfruttati e discriminati. Anche in Grecia si ripresenta la piaga del lavoro grigio, escamotage utilizzato dalle piccole e medie aziende per sopravvivere alle pressioni del mercato, in assenza pressoché totale di controlli da parte dello Stato.
Il potere della GDO
Non a caso, tra i problemi del comparto spicca anche il controverso rapporto con la filiera di trasformazione e distribuzione del prodotto. Nel Foggiano, dove la produzione di pomodoro da industria (insieme all’asparago verde) costituisce il core business dell’area agricola più importante d’Italia, il problema è innanzitutto strutturale, essendo le aziende di trasformazione del pomodoro a più di cento chilometri di distanza dai campi. Questo impedisce ai diversi attori di fare sistema, quindi di rafforzare il proprio potere negoziale nei confronti dei diversi soggetti coinvolti nella filiera, soprattutto con la GDO, che continua a perpetrare pratiche sleali come le aste a doppio ribasso (in Italia, il ddl 1373, che dovrebbe vietarle, è ancora in attesa della discussione in Parlamento).
Queste, e molte altre considerazioni – costruite sulla base di dati aggiornati, numeri, testimonianze dirette – confluiscono nel rapporto di Terra! che individua, in conclusione, le priorità: “È urgente che le istituzioni europee introducano strumenti legislativi che vadano nella stessa direzione, riconoscendo dunque che quella del caporalato e dello sfruttamento del lavoro in agricoltura è una piaga che investe tutto il vecchio continente. Ed è necessario investire sulla trasparenza di filiera con misure preventive che riducano al minimo la possibilità che possano verificarsi fenomeni di sfruttamento: l’obiettivo deve essere quello di rendere ‘antieconomico’ lo sfruttamento, perché più facilmente rintracciabile dagli organi preposti e dai consumatori”.