Il 2019 è stato un anno record per la birra italiana, nonostante il nostro Paese, con 34,6 litri pro-capite, non sia nemmeno tra i primi 20 nella classifica europea, dominata dalla Repubblica Ceca (oltre 140 litri) con Austria, Germania e Polonia. Ma proprio i quasi 35 litri pro-capite segnano il livello più alto raggiunto almeno da dieci anni, che in valori assoluti equivale a oltre 20 milioni di ettolitri, in linea con un trend di ascesa costante iniziato nel 2015. Questo primato si accompagna, da un lato, al terzo incremento consecutivo della produzione nazionale (+5%) passata da 16,4 a 17,2 milioni di ettolitri che fa dell’Italia la nona produttrice in Europa (4,5% delle quote e +35% in dieci anni) e, dall’altro lato, al balzo delle esportazioni (+13% sopra i 3,4 milioni di ettolitri). Sale leggermente anche l’import italiano di birra che torna sopra i 7 milioni di ettolitri (Belgio, Germania e Olanda i principali fornitori), secondo i dati diffusi da Assobirra nel consueto focus annuale.
Birra italiana: il comparto è in salute
A giudicare dai numeri dello scorso anno, il comparto è in ottima salute e i “risultati sono straordinari”, commenta l’associazione, aderente a Confindustria, che riunisce 40 tra produttori e commercianti di birra e malto per il 71% della birra venduta per oltre il 90% della produzione nazionale. L’aumento dei volumi ha riguardato tutto il comparto, compresi i piccoli produttori (circa 850 strutture). Sono aumentati i posti di lavoro, con oltre 3.300 occupati in più in un anno tra addetti diretti e indiretti, per un totale di 144 mila occupati nella filiera. Da segnalare la capacità dell’Italia di esportare nel 2019 soprattutto verso i Paesi a forte tradizione birraria come Regno Unito (46% del totale esportato), Stati Uniti (9,7%) e Australia (8%). Sul fronte interno, l’offerta delle aderenti ad Assobirra resta strutturata coi protagonisti consueti: Heineken col 32% delle quote (marchi Ichnusa, Moretti, Messina); Birra Peroni col 18,3%; Anheuser-Busch col 9,4% (marchi Leffe, Beck’s, Corona, Stella Artois); Carslberg Italia (marchi Angelo Poretti, Tuborg) e Birra Castello ciascuna col 5,1% delle quote a volume.
Birra non solo in estate
Il consumo italiano di questa bevanda, le cui origini sono fatte risalire al 4.500 avanti Cristo nelle valli tra Tigri ed Eufrate, è in generale suddiviso tra il 64% in casa e il 36% fuori casa. Ed è da sottolineare il fatto che la birra non è più solo la bevanda dell’estate, perché gli italiani la bevono tutto l’anno. Consumi destagionalizzati, quindi, per effetto di un’accresciuta conoscenza del prodotto. Nel dettaglio, periodo tra maggio e agosto è, comunque, quello con la maggiore percentuale di consumo, che è pari al 46% del totale.
I rischi post-covid 19
“Cresce la predilezione degli italiani per la birra” afferma Michele Cason, presidente di Assobirra “e anno dopo anno assume un ruolo sempre più di rilievo nel panorama del beverage italiano e nell’economia nazionale”. Per il 2020 è atteso, invece, un calo dei consumi e il futuro appare denso di incognite. “L’emergenza sanitaria” aggiunge il presidente Cason “mette a rischio la sopravvivenza di molte realtà e le prospettive di crescita a medio termine dell’Italia. Siamo convinti che le potenzialità insite nella filiera dell’orzo e nella coltivazione del luppolo meritino adeguata valorizzazione soprattutto a livello europeo e di politica agricola comune. È prioritario un potenziamento degli incentivi fiscali, a cominciare da una progressiva riduzione delle accise”.
Le richieste alle istituzioni
Vista la crisi economica, torna con forza la richiesta della riduzione delle accise, che non è nuova, dal momento che tra ottobre 2013 e gennaio 2015, come ricorda il vice presidente Alfredo Pratolongo, l’aggravio fiscale salì del 30%. Ecco perché, soprattutto oggi, Assobirra torna ad auspicare una riduzione di questa percentuale, aggiungendo un’altra richiesta: “Un sostegno immediato al canale Horeca, da cui deriva la maggior parte del valore condiviso generato dalla birra: ben 5,7 miliardi di euro sui 9 miliardi totali relativi al 2018”. L’ipotesi in campo, nel dettaglio, è quella di un credito di imposta sull’acquisto di birra in fusto, che significherebbe un apporto di liquidità rapido destinato ai singoli esercenti.
Microbirrifici in calo
Con uno sguardo ai micro birrifici, i dati 2019 registrano un ulteriore calo dopo il picco di quasi 950 unità raggiunto nel 2016. Un anno, quest’ultimo, che ha rappresentato l’apice quantitativo di un fenomeno molto interessante che in Italia è partito oltre dieci anni fa e che è stato in grado di ritagliarsi spazi e nicchie di mercato anche nell’alta ristorazione. Lo scorso anno, tra micro birrifici (684) e brew pub (157), in Italia erano attive 841 aziende, per una produzione di 523 mila ettolitri, pari al 3% del totale nazionale.
Birra e sostenibilità
Anche il comparto birrario ha abbracciato la sostenibilità. Ci investe da tempo e ha superato, fa sapere Assobirra, gli obiettivi di riduzione di acqua (-35%), anidride carbonica (-58%) ed energia (-26%) tra il 2010 e il 2019, in anticipo rispetto all’obiettivo prestabilito del 2020. “Si tratta di un altro passo avanti nell’iter di sviluppo sostenibile dell’Italia” conclude l’associazione “in relazione alle sfide dell’Agenda 2030 per lo sviluppo sostenibile”.
a cura di Gianluca Atzeni