I ricercatori americani individuano un sesto gusto collegato alla presenza di carboidrati negli alimenti

17 Giu 2014, 13:24 | a cura di
Principale riserva di energia per il nostro organismo, i carboidrati riuscirebbero a interagire con alcune aree del cervello già al contatto con la lingua, in grado di rilevarne la presenza attraverso le papille gustative. Un esperimento dimostra infatti un incremento dell’attività cerebrale in seguito all’assaggio inconsapevole di alimenti contenenti carboidrati.

Partiamo da due assiomi: la nostra lingua sarebbe in grado di registrare un gusto che non rientra tra quelli comunemente conosciuti. E no, il gusto in questione non è l’onnipresente umami, ormai entrato di diritto (seppur non accettato da tutti) tra le percezioni recepite dalle nostre papille gustative. I ricercatori della AAAS (American Association for the Advancement of Science)avrebbero verificato, attraverso studi condotti su un campione di volontari, l’esistenza di un sesto gusto collegato alla presenza di carboidrati in un alimento. Ricapitolando quindi oltre ad amaro, aspro, dolce, salato e umami, l’uomo sarebbe in grado di reagire alla presenza di carboidrati - elemento nutritivo indispensabile per l’approvvigionamento di energia - già al primo assaggio, prima ancora cioè che gli amidi complessi vengano metabolizzati dal nostro organismo e assimilati sotto forma di zuccheri semplici.
Infatti un semplice esperimento ha portato a dimostrare che la sola presenza di carboidrati nell’alimento introdotto in bocca sarebbe sufficiente a migliorare la performance fisica, interagendo con le aree del cervello che controllano il movimento e la vista. Somministrando ai partecipanti tre diversi fluidi, due ugualmente zuccherati e dall’identico sapore – di cui solo uno contenente carboidrati – e un terzo non zuccherato, solo la sostanza addizionata con carboidrati ha prodotto un incremento del 30% dell’attività delle aree del cervello interessate.
Quello che si potrebbe definire “un senso per i carboidrati”, pur non modificando la percezione gustativa dell’individuo e quindi prestandosi meno a manipolazioni gastronomiche, rappresenta comunque una scoperta scientifica importante per la conoscenza del complesso funzionamento dei recettori delle papille gustative, già approfondita qualche mese fa dalle ricerche della Washington University School of Medicine che aveva segnalato la presenza di recettori sensibili al grasso grazie all’utilizzo di un particolare gene.

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