Un bicchiere di vino nei pub inglesi? Sì, ma sotto i 12,5 gradi alcol. Lo prevede uno dei punti dell'accordo appena firmato tra le associazioni d'impresa e di categoria inglesi, tra cui la British Beer&Pub Association e la Wine&Spirit Trade Association. Un modo per seguire il cosiddetto “responsibility deal” tra chi commercia bevande e il Governo e cooperare alla lotta all'abuso di alcol. Abuso che si ripercuote sui contribuenti con costi elevatissimi: 21 miliardi di sterline l'anno. Com'era prevedibile, non l'hanno presa bene i produttori, soprattutto quelli esteri che esportano nel mercato inglese e che vedono in questa mossa la fine dei vini strutturati e di qualità, sostituiti da vinelli spesso di secondo livello. Vini “weaker”, insomma: più deboli. Sui social c'è chi ironizza: “Così adesso non si potrà più bere un buon Sauvignon della Nuova Zelanda, a tutto vantaggio di un leggero Pinot Grigio", è il commento sarcastico di un produttore di Bordeaux. D'altro canto c'è da dire che gran parte del mercato già da anni si sta indirizzando verso prodotti di grado alcolico non elevato, con le dovute eccezioni legate alle singole denominazioni. Di fatto se ci saranno ripercussioni, o meno, sulle importazioni del Regno Unito, si vedrà solo tra qualche mese. Di sicuro a beneficiarne sarà la birra, già la preferita dagli inglesi nelle loro folli notti alcoliche.
E intanto, a dimostrazione di come l'alcolismo preoccupi - e non poco - il Regno Unito, arriva anche la pillola per smettere di bere. A base di nalmefene, è stata approvata dal National Institute for Health&Care Excellence (Nice) e presto -già prima della fine dell'anno - potrebbe essere inserita nel Servizio Sanitario Nazionale per aiutare oltre 600 mila persone al costo di 600 mila di sterline. Il primo Paese europeo ad averla utilizzata è la Scozia dal 2013.
A cura di Loredana Sottile