A tavola non si invecchia, dice un popolare motto. A tavola si invecchia ma molto tardi, correggono alcuni chef italiani. Che propongono menu a prezzi scontati per gli “under”, allo scopo di avvicinarli all’alta ristorazione, da essi spesso sdegnata per diffidenza e scarsa capacità di spesa. Il problema però sta proprio nell’“under cosa”. Per qualcuno l’asticella va fissata in alto, molto in alto. Addirittura a quarant’anni, età alla quale fino a un paio di generazioni fa il meglio era già passato, mentre ora deve ancora arrivare. Un grande avvenire dietro le spalle, purché con il tovagliolo al collo.
L’esempio di Canzian
Prendete Daniel Canzian, chef veneto di buon talento con un ristorante in Brera, a Milano. Il suo menu Giovani Forchette propone per le persone fino a quarant’anni un percorso a 50 euro (aperitivo e bevande escluse) che rappresenta un bignamino del suo non trascurabile pensiero gastronomico: un benvenuto al banco, gli Spaghetti integrali al granchio adriatico (blu?) e salsa ai profumi d’Oriente, un Risotto al limone con sugo d’arrosto e liquirizia, un’Anatra ai frutti rossi, una Sfera di cioccolato, suo omaggio ad Arnaldo Pomodoro e infine dei petit fours. L’offerta vale soltanto nelle cene del martedì, mercoledì e giovedì al bancone, ma tanto i giovani, anche quelli con qualche capello bianco, sono per definizione elastici. O no?
Gli sconti per gli under 40
Canzian non è il solo ad avere una lettura indulgente della carta di identità. Molti ristoranti hanno tuttora - o hanno avuto - carte dedicate a giovani, si fa per dire. Il ristorante Atmosfera a Monza propone un menu di nove portate destinato a chi è nato a partire dal 1983, assai gradito a chi ne può approfittare, basta guardare le recensioni sui social. Qualcuno ci ha provato, come lo chef Gennaro Amitrano, che battezzò la riapertura del suo ristorante caprese, nella depressione post-Covid, con un menu Forty Forty, 40 euro fino a 40 anni con un antipasto, un primo e un dessert di giornata, esperienza che non è durata a lungo.
Febbre a 35
Qualcun altro fissa il paletto anagrafico un po’ più in basso. Alberto Faccani nel bistellato Magnolia, a Longiano, in Romagna, offre un menu degustazione di cinque portate con tre vini in abbinamento a 100 euro, acqua e caffè compresi, a chi abbia meno di 35 anni. All’iniziativa sono dedicati fino a sei posti per ogni servizio, venerdì e sabato esclusi. Molti altri ristoranti in Italia offrono sconti e percorsi studiati per under 35, dal Fenicottero Rosa di Villa Abbondanzi a Faenza alla Corte di Follina nel Trevigiano. Roba che Tommaso Arrigoni, che nella nuova location di Innocenti Evasioni, offre ai giovani dai 18 ai 25 anni, dal lunedì al giovedì, un menu di tre portate a sorpresa a 35 euro, sembra lo Zecchino d’Oro del fine dining.
Formula 40x40
Ma che nel mondo della ristorazione si è degli eterni Dorian Gray lo dimostrano anche i premi. Molte guide attribuiscono i premi annuali ai giovani tenendo i 40 anni come colonne d’Ercole anagrafiche, Identità Golose segnala nelle sue schede se lo chef non ha ancora varcato le quattro decadi, e in fondo anche negli States hanno allargato i cordoni ombelicali se è vero che l’Hubter College New York City Food Policy Center segnala annualmente le 40 persone sotto i 40 anni più influenti della scena alimentare della Grande Mela, e la formula 40x40 è spesso usata come la sezione giovani della vera scena gastronomica, quella dei “big”.
Bizzarra scelta per un mondo in cui ci si rimbocca presto le maniche rispetto ad altri ambiti lavorativi, e dove a vent’anni già molti cuochi vantano esperienze in cucine importanti di tutto il mondo.
I mali del “vecchismo”
Il “vecchismo” è un male della nostra epoca. I giovani, soprattutto in Italia, sembrano vivere in un interminabile limbo, che li condanna a una bambagia eterna, la cameretta con i poster e il ragù di mammà, e questo anche perché chi giovane non è più ha un certo interesse a rivedere a posteriori le categorie anagrafiche deformandole a proprio uso e consumo, anche allo scopo di non lasciare incustoditi i propri privilegi. Ma questo è tema da sociologi, categoria a cui noi ci guardiamo bene dall’appartenere. Certo è che i trentenni sempre più spesso non hanno un lavoro, o ne hanno uno precario, e non possono permettersi di frequentare ristoranti con conti spesso a tre cifre per persona. Questo potrebbe influire anche sull’educazione degli adulti di domani al fine dining, cosa che l’alta ristorazione potrebbe pagare in futuro, quando gli “under” diventeranno “over”.
L’alta ristorazione rischia insomma di essere realizzata da brigate sempre più giovani che lavorano per consumatori sempre più maturi. Sicuri che sia una buona idea?