Le grandi famiglie dell'aceto balsamico
Quando l’aceto balsamico di Modena era solo un “affare di famiglia”, un prodotto da tramandare di padre in figlio – con la batteria che veniva iniziata alla nascita e donata quando si lasciava la casa natale - lui e altri tre imprenditori riuscirono a trasformare l’oro nero della food valley emiliana in un’eccellenza del made in Italy. Adesso, a 90 anni appena compiuti, Adriano Grosoli è l’ultimo rimasto in vita del quartetto di imprenditori che negli anni Sessanta guidò il passaggio dell’aceto balsamico dalle cantine domestiche al mondo dell’industria, portandone il nome sui mercati esteri attraverso fiere in Europa e negli Stati Uniti, con intraprendenza e spirito pionieristico. “Non parlavamo una parola d’inglese – spiega – ma mostravamo l’aceto balsamico oltreoceano e ci chiedevano se fosse vino. Lo facevamo assaggiare e restavano esterrefatti”.
Fino alla metà degli anni Ottanta, l’intera produzione del balsamico era appannaggio di pochi: insieme a Grosoli, c’erano Giorgio Fini, Elio Federzoni e Giuseppe Giusti. Adriano Grosoli è stato celebrato con una serata in azienda, dai 24 dipendenti dello stabilimento di Spilamberto, alle porte di Modena, insieme alle figlie Alessandra e Mariangela, con quest’ultima che è anche presidente del consorzio di tutela dell’IGP.
Adriano Grosoli. Una vita per l'aceto balsamico
La sua è una storia di imprenditoria d’altri tempi, fatta di scelte giocate sulla propria pelle e traversate atlantiche per promuovere l’aceto balsamico nelle fiere attraverso gli Stati Uniti.
“All’inizio il balsamico – racconta - era conosciuto solo nell’area intorno a Modena e in qualche mercato estero, dove qualche coraggioso produttore si era spinto, per caso o con cognizione. Con gli altri tre imprenditori i rapporti erano di ‘diffidente cooperazione’ nel senso che avevamo capito di avere tra le mani un prodotto prezioso, da tutelare e da far conoscere al grande pubblico dei consumatori mondiali. D’altro lato eravamo anche un po’ sospettosi verso i concorrenti, come era buona norma. Eravamo sia squadra che concorrenti; squadra nei confronti del grande mondo esterno, concorrenti nel piccolo mondo di Modena”.
Da Modena al mondo
Classe ’29 e membro dell’Ordine Secolare Francescano, Adriano Grosoli viene chiamato a causa della guerra a occuparsi dell’attività di famiglia, iniziata nel 1891 dal nonno Adriano e insignita della medaglia d’oro all’Expo di Genova nel 1927, che comprendeva principalmente la lavorazione del maiale, la gestione della trattoria a San Donnino (Modena) e della bottega di prodotti tipici modenesi, in primis il balsamico. È su questo prodotto - fino a quel momento legato a una dimensione esclusivamente familiare - che decide di puntare, in concomitanza con l’apertura dei primi supermercati nazionali.
Aceto balsamico. La nascita del consorzio
Nel 1965, in occasione del riassetto normativo del settore aceti, è tra i promotori della richiesta di riconoscimento e regolamentazione del prodotto: avvia le procedure per ottenere la licenza ministeriale per la produzione di Aceto Balsamico di Modena che otterrà nel 1974, poi nel 1993 è tra i fondatori del consorzio. “Il momento più difficile fu quando ci comunicarono che un’azienda di Napoli aveva purtroppo ottenuto la temporanea autorizzazione a produrre Aceto Balsamico di Modena a Napoli. Da quell’attimo di scoramento è però scaturito la reazione di noi quattro produttori, che per difendere la territorialità ci siamo dapprima uniti per la battaglia giudiziaria e poi abbiamo realizzato che i tempi richiedevano un ulteriore passo avanti. Così nel 1993 abbiamo fondato il consorzio di Tutela”.
Stereotipi ed errori
E mentre promuove l’oro nero, esporta il suo amore per la città e la sua storia (finanziando il restauro del dipinto di Velazquez raffigurante Francesco I d’Este), la passione anche per le altre specialità modenesi e lo stile di vita emiliano, caratterizzato dalla velocità dei motori, l’inventiva degli artigiani e il piacere della tavola. “Oggi spesso l’approccio è di chi sa già cosa sia il balsamico, come si utilizzi e quale sia la sua storia. Ma credo che in realtà ci sia ancora molto da imparare sulle diverse ‘qualità’ del balsamico e sul suo utilizzo; per esempio quando vedo errori madornali come il consiglio di utilizzare un balsamico di fascia bassa sulle fragole o sul parmigiano, penso ‘così siamo sicuri che, provato una volta, non lo vorranno mai più utilizzare’. C’è una conoscenza superficiale e influenzata da mode e trend”.
a cura di Marco Gemelli