Hunger è un film thailandese diretto da Sitisiri Mongkolsiri e distribuito in questi giorni da Netflix. Un film sul cibo come fine e come mezzo. Come fine rappresenta la storia di Aoy, cuoca nella bottega di street food di famiglia, catapultata nel mondo dell’alta cucina da cui esce tanto rapidamente quanto è entrata. Come mezzo, invece, usa il cibo per raffigurarci i conflitti di classe – di cui la produzione orientale si sta occupando, come testimonia sia la serie coreana Squid Game sia il Premio Oscar Parasite – in un paese come la Thailandia che appartiene alla contraddittoria area del sud est asiatico.
In Parasite il cibo nella narrazione aiutava nella comprensione del conflitto tra le famiglie appartenenti a classi sociali diverse. In Hunger si parte dal cibo – o meglio dalla sua preparazione – per giungere a una radicalizzazione del conflitto da parte del protagonista, Chef Paul. Emblema di riscatto sociale – sua madre era servant di una agiata famiglia borghese – che desidera strenuamente emergere per domare la platea circense dei ricchi (gli stessi che in Squid Game si divertivano a giocare con i disperati in cerca di vittoria come nella Roma felliniana del Satyricon).
La trama di Hunger: dal ristorante di famiglia all’alta cucina
La trama di per sé è lineare. Aoy cucina nel locale di famiglia più per necessità che per piacere ma appartiene alla categoria baciata dall’X Factor: viene selezionata per un colloquio di lavoro nella cucina esageratamente ordinata dello Chef Paul, che rivela un carattere ossessivo, riversato con precisione maniacale nella sua professione, in cui prepara pranzi ed eventi per ricchi politici, generali corrotti, imprenditori e giovani figli di papà dediti a qualsiasi tipo di piacere e vizio. Il suo mantra è che il cibo fatto con amore non esiste, e per fare lo chef non ci vuole amore ma grinta e fame, intesa come voglia di combattere per emergere. Ad Aoy viene chiesto di cuocere con diverse tecniche la pregiatissima carne Wagyu – che deve avere morso e contemporaneamente mantenere i succhi all'interno – così ottiene il lavoro in una brigata di sette persone, le cui giornate sono scandite da ripetitività e gelosie.
La fatica è tanta, il rispetto meno; ma Aoy non si scoraggia fino al giorno in cui comprende che c'è un limite. Travalicato, decide di lasciare il lavoro trovandone immediatamente un altro. Accolta come una celebrità nel nuovo ristorante Flame, ottiene successo e consensi e la sua fama cresce, fino a quando viene scelta per un evento organizzato da una giovane ereditiera. Quando Chef Paul va a trovarla, provando i suoi piatti le rivela che durante quell'evento saranno sfidanti. Prima di andarsene, condivide con lei le sue considerazioni sui rischi del futuro: “Sto invecchiando, quando precipiterò nel baratro perderò molte altre cose, è il prezzo di essere speciali. D’ora in poi ti aggrapperai al tuo successo senza renderti conto di ciò che hai perso”. Il vero intento, però, è di distoglierla dai suoi obiettivi e tornare a dominare la scena.
Hunger: il grande scontro in cucina
Durante l’evento, con gli invitati in abiti giallo oro che rimandano alla tradizione regale e religiosa thailandese, inizia la sfida tra i due chef. Da un lato l’innovazione e la maestria di Aoy, apprezzata dalla padrona di casa, dall'altro un coup de théatre dello Chef Paul: la scena si fa rosso cupo e dall’alto viene calata, accompagnata da un fascio di luce, una mezzena di manzo. Lo chef, in una veste sacerdotale, la tocca con gesti sacrificali, ricoprendola di spezie e abbandonandola alla cottura di un braciere sottostante. Il risultato è scontato: gli ospiti godono nel piacere di ingoiare questa carne. Aoy riparte in contropiede e prepara i suoi famosi noodles Pad see ew, a base di pasta di soia e ingredienti di recupero, la ricetta della nonna. Le sue parole commuovono: “Quando si ritorna a casa ci si rende conto che qualcuno ci vuole bene; si mangia quel piatto e ci si sente al sicuro”. Sembra che comunque la vittoria sia nelle mani di Chef Paul – “Per loro sono un mito. Per loro ho già vinto perché hanno fame di me” – quando improvvisamente nel salone irrompe la polizia per arrestarlo, colpevole di aver cacciato e poi servito durante la cena una specie protetta di uccelli. Nel finale Aoy, ormai nauseata dagli ultimi avvenimenti, si allontana attraversando una Bangkok notturna, regno di drop out e di emarginati, e torna al ristorante di strada con la sua famiglia e con Au, il ragazzo che aveva sempre creduto in lei.
I conflitti sociali e il ruolo del cibo
A chi non ha molta familiarità con l’estremo Oriente potrebbe risultare strano che esistano tensioni sociali in Paesi dove lo sviluppo economico procede ancora a ritmi elevati. Ma quello che nei secoli passati è stato costruito in Europa con un processo di lento affrancamento, a partire dallo schiavismo dell'età antica fino alla nascita della classe borghese, non è avvenuto in quell’area che ha saltato passaggi fondamentali della storia, limitandosi alla sostituzione del colonialismo antico con un capitalismo recente e irrazionale, ben rappresentato da questo film.
Tornando invece al cibo e alla sua rappresentazione, l’aspetto più interessante è il momento cruciale della sua preparazione, vera protagonista del film: il fuoco, la fiamma, il wok e la mise en place studiata per avere un grande impatto - attraverso carne e sangue, oppure con la geometria delle aragoste su salse che ricordano la lava vulcanica - quasi a rappresentare una guerra di popolo, forse una liberazione dalla condizione umana di reietti.