Una legge per gli home restaurant
Un'attività saltuaria, senza possibilità di replica. È quanto si legifera nelle prossime settimane alla Camera dei Deputati in materia di home restaurant. Eppure il fenomeno esploso in Italia solo negli ultimi anni – che fa il paio con la voglia/necessità di inventarsi un nuovo lavoro con i mezzi a disposizione, che si tratti di una particolare attitudine alla cucina, di una stanza in più da affittare tramite il circuito Airbnb, o persino di un autoveicolo confortevole per accedere alla flotta di Uber – era per molti versi diventato un (pericoloso) competitor della ristorazione tradizionale. Non senza relative polemiche delle associazioni di categoria. Della questione si è dibattuto lungamente, favorevoli o contrari, tutti pronti a schierarsi in mancanza di una normativa certa che regolasse il “settore”. Adesso, con qualche ritardo di troppo, anche l'Italia prova a regimentare il sistema, cominciando con l'inquadrare l'attività, “saltuaria” per l'appunto, e in quanto tale vincolata al limite massimo di 500 coperti l'anno, con tetto di 5mila euro annui per i proventi generati dal business (ex articolo 41 della Costituzione, per i lavori saltuari).
Ristoranti casalinghi. Cosa cambia
Regole precise che minacciano di ridimensionare seriamente l'attività di tanti home restaurant proliferati sul territorio italiano (le ultime stime ufficiali risalgono al 2014 e parlano di un giro di clienti pari a 300mila unità nell'arco di un anno, sicuramente aumentato nel frattempo), cui si aggiunge l'obbligo di utilizzare sistemi di pagamento elettronico – bancomat, carte e pagamenti online tramite il sito che gestisce le prenotazioni – e possedere un'assicurazione per la responsabilità civile contro terzi. Dopo l'approvazione in commissione Attività produttive, il testo (proposte di legge 3258, 3337, 3725 e 3807) è approdato in Aula, con accorgimenti aggiunti in corso d'opera alla normativa in fieri. Quello destinato a far notizia è indubbiamente il divieto di incrocio con Airbnb. E cioè, come recita l'art. 5, “l'attività di home restaurant non può essere esercitata nelle unità immobiliari a uso abitativo in cui sono esercitate attività turistico-ricettive in forma non imprenditoriale o attività di locazione per periodi di durata inferiore a trenta giorni”. Esclusi dal circuito quindi anche bed & breakfast e case vacanze. Sanzioni salate per chi contravviene alle regole, a cominciare dalla clandestinità: chi non dichiara l'attività (presentando la Scia) potrà incappare in multe comprese tra 2500 e 15mila euro.
Il ruolo delle piattaforme di social eating. La lotta all'evasione
E ancor prima di ottenere l'approvazione definitiva il ddl ha già raccolto la soddisfazione di Confesercenti, che parla di “un ottimo primo passo” per arginare un fenomeno cresciuto in autonomia, specie in Lombardia, Lazio e Piemonte, tacciato nei casi più radicati di concorrenza sleale. Sul versante fiscale, la normativa dovrà regolare il rischio di attività professionali nascoste. Mentre ai portali di social eating (cui gli home restaurant saranno obbligati a registrarsi) sarà demandato il ruolo di supervisione, perché il provvedimento non appesantisca con cavilli burocratici un'attività nata per condividere il piacere della buona tavola.
E infatti qualche eccesso di libertà persiste pure nel testo di legge: ai ristoratori fai da te non sarà imposto nessun controllo Asl, ma solo la dichiarazione di abitabilità. Un po' pochino per garantire il rispetto delle norme igienico-sanitarie.
Ma la parola definitiva arriverà solo dopo il 4 dicembre, quando archiviato il referendum si procederà alla votazione. L'auspicio è che la legge possa “valorizzare e favorire la cultura del cibo tradizionale e di qualità”, come recita il comma 2, art. 1. Che riesca a mettere tutti d'accordo è ben più improbabile.
Qui il testo definitivo in attesa di approvazione
a cura di Livia Montagnoli