Il mondo magico dei social pullula di star e influencer che a caccia di like e follower producono contenuti conformisti, bizzarri o di clamore. L’unica cosa che sembra contare è creare in qualche modo seguito e movimento a favore della propria “pagina”. Queste dinamiche non risparmiano neanche la comunicazione food, che da qualche tempo registra pure gli interventi al vetriolo del direttore dell’Università della Cucina Italiana di Firenze, Guido Mori. Un erudito del settore diventato popolare su Instagram e TikTok per l’approccio critico con cui affronta il dibattito. Diciamo che, fra attacchi a vip e chef stellati da una parte, e sfottò di cuochi improvvisati dall’altra, non si fa mancare davvero nulla. Intervistato da noi sui temi più importanti, Mori non si è tirato indietro rimanendo fedele ai toni dissacranti che ne hanno fatto uno dei personaggi del momento.
Prima era “solo” il direttore dell’Università della Cucina Italiana di Firenze, adesso anche un influencer con una nutrita fandom. Ci racconta questo passaggio?
Mi occupo semplicemente di dare un senso ai video che occupano Instagram e TikTok, individuandone gli errori. Affascinati da questi nuovi mezzi di comunicazione, abbiamo iniziato a sottovalutare i messaggi che questi diffondono, spesso vuoti e di bassa cultura. Le preparazioni altrui che addito sono infatti sbagliate, pericolose o “lette” male, considerando che storicamente la cultura culinaria italiana si basa sulla lettura delle ricette. Ho iniziato quindi a costruire questo tipo di dialogo critico e ho riscontrato degli ottimi risultati (feedback social). Del resto, in tutte le forme di divulgazione artistica esiste sempre una controparte critica e il problema dei contenuti che passano in assenza di critica è che perdono il loro senso intrinseco.
Sui social lei fa un vero e proprio dissing di influencer e cuochi poco esperti. Ci spiega la scelta di optare per una comunicazione così aggressiva?
Io faccio tre tipi di contenuto diversi. Uno è quello di natura prettamente scientifica in cui tratto vari argomenti, dalla reazione di maillard all’osmosi. In un altro tipo inquadro invece contenuti culinari come per esempio la storia del pomodoro. E infine (per rispondere alla nostra domanda), prendo dei video errati valutandoli con ironia — faccio fede alla mia radice etnica di vero fiorentino — cercando di dare una logica anche di più semplice comprensione e leggerezza, che in cucina serve perché non si parla di fisica nucleare.
Possiamo considerare il suo approccio un nuovo metodo per sensibilizzare i giovani fruitori a una corretta alimentazione?
È un argomento complesso. Io sono laureato in chimica e non in scienze dell’alimentazione. Quindi non è il mio, anche se mi è capitato di esprimermi a riguardo citando degli studi scientifici che uso come spunto per affrontare un tema. Non mi spingo però oltre. Io cerco di introdurre dentro il discorso la critica e spiegare perché la si fa insistendo sul fatto che non esiste una realtà ipse dixit: questa cosa è vera perché l’ha detta uno con tanti follower. Riporto la critica che normalmente viene fatta all’interno del discorso culturale.
C’è un errore da parte di un food influencer che le ha fatto storcere il naso più di altri?
Cuocere la carne a fiamma diretta è pericoloso. Ho riportato i testi del ministero della Salute e dell’Agricoltura che lo dichiarano. Crea dei sottoprodotti tossici e cancerogeni. Uno dei più importanti influencer italiani usa dell’olio esausto; ci sono delle tracce presenti nelle sue salse. È strano che grandi player dell’editoria non associno a questi “cuochi” che non hanno alcuna conoscenza della cucina dei veri tecnici del settore, in grado di correggere gli errori e costruire un messaggio che abbia senso.
Visto il seguito di molti di questi chef-influencer improvvisati, non è che alla fine l’italiano medio ci capisce poco di cucina?
Tanti profili hanno un numero di interazioni basso, magari con follower finti, pacchetti comprati da un’agenzia. C’è un mercato di vendita dei follower, con società che non hanno cultura (culinaria) per individuare i meritevoli. Poi, c’è l’utente stanco che mette like in modo acritico, indirizzato solo dal fatto che la “pagina” sia famosa. C’è anche una questione legata alla conoscenza: la conoscenza va praticata, non esiste la scienza infusa. Se manca la pratica intellettuale, c’è solo passività nell’assunzione del cibo e assoluta mancanza di cultura in quello che si fa. Faccio un esempio: il riposo della carne. Dopo la cottura, le carni rosse devono riposare a una temperatura leggermente inferiore rispetto a quella raggiunta al cuore, in maniera tale da ridare energia alle proteine che riagguantano le parti liquide. La risposta media invece è: «quindi mangi la carne fredda? Io, quando è cotta, la voglio mangiare subito».
Guido Mori si occupa in primis di formazione. Ci dice come sta formando i futuri professionisti del settore affinché siano più preparati delle star del web?
La mia scuola fornisce diverse tipologie di formazione. Ci sono percorsi di formazione professionalizzante, aggiornamenti professionali finanziati dal Pnrr, in collaborazione con l’università. Poi, i master universitari di livello che vanno dalla chimica in cucina alla storia della gastronomia, in collaborazione con il ministero dell'Università e la Ricerca. Collaboriamo anche con gli alberghieri per fornire formazione gratuita di implementazione del sistema scolastico.
Nuove frontiere: carne stampata e coltivata. Da buon toscano, amante della carne, per lei cosa rappresentano?
Sono stato uno dei primi a cucinarla in Italia, nell’ambito di un evento pubblico davanti alla stampa estera, giusto pochi giorni dopo il blocco di Lollobrigida a entrambe. La carne stampata non richiama la carne, è un altro prodotto, appartenente a una categoria diversa. Come se confondessi il pecorino con i coagulati vegetali. Appena sentiamo «carne sintetica» partiamo per la tangente. Siamo ignoranti. E invece è interessante perché viene dalla lavorazione vegetale e non da proteine animali. Occuperà un mercato importante, ma non da noi.
In Italia al momento è vietata. Che ne pensa della posizione della Coldiretti?
Siamo indietro, vista la miopia di chi ci governa; ci sono fabbriche estere operative da almeno tre anni. Stiamo perdendo un settore di sviluppo e rimarremo fuori da questo mercato. Non ci interessa spiegare o acquisire conoscenze, ma solo esprimere opinioni. Mentre le tecniche adoperate per quella coltivata non sono moderne, esistevano già negli anni Ottanta. Deriva dal siero animale estratto e non è che un hamburger di basso livello, al momento con costi esorbitanti. Semmai incide sulle grandi produzioni e non i piccoli allevamenti. Quindi le paure di Coldiretti, che fanno comodo al governo, sono un po’ vane.
Che ci dice invece dell’accanimento verso i locali di Briatore?
Lui lavora nella fascia truce della ristorazione e gioca sull’effetto delle ragazze scosciate o i fuochi d’artificio, sull’immaginario tipico degli anni Novanta che potrebbe funzionare ormai solo a Dubai. I suoi locali (per esempio le pizzerie) continuano ad aprire e chiudere secondo una strategia di commercio. Non so per gli altri settori in cui investe, ma nella ristorazione non sa bene cosa sta facendo. Non conosce tecnicamente il prodotto (la pizza) e il suo mercato. Lo dimostrano le dichiarazioni: ha affermato che non esistono catene italiane di pizza all’estero. E quelle di Sorbillo?
Non ha parole al miele neanche per Bruno Barbieri…
Era un cuoco che passava da uno stellato all’altro. Poi ha smesso di fare ristorazione per buttarsi in Tv. Adesso approccia tematiche estere senza aggiornarsi. Ha la conoscenza degli anni Novanta. Su Masterchef presumeva che l’umami fosse il risultato di tanti sapori messi insieme. Bastava che uno dei produttori del programma facesse una ricerca su Google. In realtà, l’umami è una classe speciale di peptidi. Sono proteine che si ritrovano anche nel parmigiano o nel glutammato monosodico. Non è possibile che un programma che fa divulgazione non abbia neanche le conoscenze di base, sfruttando solamente l’ignoranza delle persone e l’ipse dixit. Bisogna essere invece dissacranti: le cose giuste vanno dimostrate altrimenti non hanno valore.
Il fine dining e la proposta dei cuochi stellati le interessano?
Per un tecnico come me, il fine dining è molto interessante perché equivale a corsi di aggiornamento tecnico su metodologie di cucina. La cifra che comporta la pago molto volentieri per capire cose nuove e approcci diversi. Uno dei problemi che sta riscontrando il fine dining è collegato certamente alle variazioni climatiche derivanti dall’inquinamento. Adesso dovrebbe consumare meno energia e di qui orientarsi sulle produzioni del territorio. In questo, il fine dining è antiquato. Rappresenta una tipologia di cucina che in questo mondo sta scomparendo. Tecnicamente è interessante, ma a livello commerciale — mi occupo anche di consulenze e startup — sarebbe un investimento a rischio.
Allora, delle tecniche culinarie più diffuse, qualcuna la affascina di più? Per esempio, vanno molto le fermentazioni…
Le fermentazioni mi hanno sempre fatto ridere. Le usiamo in realtà da molto, come nel vino, di cui siamo fra i più grandi produttori al mondo. Ma hanno iniziato a “parlare” di fermentazioni solo quando il Noma (ristorante pluripremiato di Copenaghen) si è messo a fermentare due patate. Indicazione che ci dice molto di quanto poco conosciamo la cucina. Di tecniche innovative comunque ce ne sono diverse. Quelle legate all’abbattimento della pressione (in depressione) saranno il futuro. Rivoluzioneranno la cucina, esattamente come ha fatto la liofilizzazione negli ultimi 15 anni.
La sua posizione sul sistema di valutazione della guida Michelin?
C’è un vizio di forma, per cui non è più una guida ma solo una classifica. Una classifica senza regolamento: non spiegano in base a quali fattori culinari vengono attribuite le stelle. Non è vagliata neanche da un ente terzo che possa controllarne l’attendibilità. Perciò, per me, le stelle non hanno valore.
Nella sua regione i cuochi del Giglio hanno deciso di non rinnovare la loro partecipazione alla Rossa...
L’idea che uno rinunci o meno la trovo poco interessante. Mi è sembrata però una manovra di marketing ben fatta. Sono riusciti a salire agli onori della cronaca per un po’, mentre in precedenza non li considerava nessuno. Bastava comunque rendere la stella pochi giorni prima, ma forse sapevano già che non gliela avrebbero assegnata. Quello che invece mi stupisce di più è che nessuno chef si esprima mai su niente. Vivono tutti in un mondo omertoso. Serve il confronto, anche aspro. È l’unica cosa che dà veramente adito alla realtà.
Che dice, per questo 2024 riceverà altre querele?
Ho ricevuto una lettera di ammonimento giusto ieri. Ma non rispondo neanche, perché questa è davvero ridicola.