Gualtiero Marchesi nel mondo
Classe 1930, il grande maestro della cucina italiana ad appendere la giacca da chef al chiodo non ci pensa neanche per sogno. Certo, nel tempo il suo approccio alla ristorazione è cambiato, di pari passo con l'evoluzione di un gruppo che dall'alone di “santità” di Gualtiero Marchesi trae linfa vitale per proporsi sul mercato ogni volta con spunti diversi. E se è vero che esportare il made in Italy nel mondo non è mai stato premiante come in questo momento storico, anche lo chef di via Bonvesin della Riva ha scelto di proiettarsi sui mercati internazionali alla veneranda età di 86 anni, per offrire un'ulteriore opportunità di crescita a un'attività nata in famiglia, che in famiglia è rimasta, come ha recentemente raccontato al Corriere Economia il ceo della Gualtiero Marchesi, Enrico Dandolo. Ripercorrendo le tappe di un'ascesa costante fondata sulla credibilità di un marchio che finora non ha avuto bisogno di stringere partnership per brillare (ma resta memoria dell'accordo sfumato con la maison Bulgari all'inizio degli anni Novanta), Dandolo – che è pure marito della figlia di Gualtiero, Simona – proietta il futuro prossimo dell'azienda su orizzonti internazionali.
Club privato e cucina salutare. Da Montecarlo a Dubai
Con oltre 3 milioni di fatturato all'anno – tra ristorazione, scuola di formazione dell'Alma e Fondazione Marchesi a Milano – il gruppo si presenta solido e motivato alla chiamata delle sirene straniere, a partire da un progetto già in essere a Montecarlo, dove un club privato di recente apertura – il Thirty Nine – ha chiamato Marchesi a gestire l'offerta gastronomica del circolo che fa capo all'ex rugbysta Ross Beattie. In questo caso la posta in gioco è duplice, perché non solo il brand è chiamato a confrontarsi per la prima volta con una realtà oltreconfine, ma soprattutto perché la sfida presta il fianco all'interesse del Maestro per le istanze salutiste che guidano l'alta cucina contemporanea, e orientano le ultime prove dei suoi ristoranti. Per il club monegasco, infatti, Marchesi ha sviluppato un menu attento al benessere degli sportivi che frequentano la tavola del circolo. E se tutto funzionerà come previsto l'accordo si protrarrà per i prossimi 5 anni, rinnovabili. Ma entro il prossimo anno il gruppo italiano ha intenzione di colonizzare pure la Costa Azzurra, spostandosi di qualche chilometro a ovest del confine di Ventimiglia per stabilirsi a Saint Tropez, con un socio italiano. Apertura prevista: estate 2017. Stessa filosofia - improntata alla scalabilità di un format di ristorazione made in Italy che privilegi il gusto in ambienti informali, ma eleganti – guiderà l'espansione a Miami (il socio già c'è), Dubai (in vista di Expo 2020) e Istanbul, meta più rischiosa ma comunque nei piani del gruppo (nella metropoli turca sembra invece essere finita in sordina la consulenza di Massimo Bottura per il ristorante Italia, oggi non più rintracciabile sul sito di Eataly Istanbul).
La scommessa asiatica
E poi c'è l'Asia, un mercato che offre potenzialità ancora inesplorate e sta attirando le mire di molti. Tra loro anche il gruppo Marchesi, pronto a entrare a Hong Kong con un progetto modulato sull'esperienza monegasca, club privato extra-lusso per danarosi clienti in cerca del celebrato lifestyle made in Italy, all'insegna del binomio moda e cucina d'autore. Ma nei piani c'è anche l'idea di esportare un modello formativo, quello dell'Alma, che oggi richiama aspiranti chef da tutto il mondo: la scuola di cucina di Gualtiero Marchesi potrebbe nascere in Cina in collaborazione con l'Università di Shenzen, con tanto di ristorante annesso. L'ennesima dimostrazione che il futuro del gruppo Marchesi si affida alle joint venture per affermarsi nel mondo. Senza rinunciare a quel pallino per la libertà e l'autonomia di azione che ha guidato il Maestro al successo. In cucina, e fuori.