Il pane è civiltà
Cultura gastronomica, evoluzione alimentare, civiltà. Secondo giorno con gli appuntamenti di Gourmet Food Festival al Lingotto di Torino per scoprire l’universo dell’artigianalità. Un legame, quello dell’uomo con la terra e il cibo che porta in tavola, che passa attraverso la rivoluzione agraria: “Senza pane non esisterebbe la civiltà” ricorda sul palco Davide Longoni. Il maestro panificatore di stanza a Milano è arrivato a Torino per raccontare il pane, e restituirgli la sua dignità. Il pane come bene quotidiano ed emblema di sapienza artigiana. Ma pure di conoscenza del terroir, per usare un termine caro al mondo del vino, che in fondo può applicarsi anche all’infinito patrimonio di grani di cui dispone l’Italia (“52 solo per contare quelli siciliani, di cui oltre una ventina messi a coltura”). Longoni la sua battaglia per la valorizzazione dell’artigianalità la porta avanti da anni, lavorando da tempi non sospetti sulla rivalutazione della panificazione: “è credenza comune che il pane sia un alimento semplice, ma il processo che c’è dietro è invece estremamente complesso”. Il suo intervento sviluppa quindi, ricorrendo al parallelo con il mondo del vino, l’idea di un prodotto con le sue peculiarità organolettiche, olfattive, tattili, visive, gustative, da avvicinare con una curiosità nuova. Perché anche il pane si presta a essere degustato. E valorizzarlo vuol dire innanzitutto riscoprire le sue origini agricole, chiamando in causa non solo il lavoro di chi coltiva la terra, ma l’intera filiera di trasformazione del grano, partendo dalla figura del mugnaio. È un processo di riscoperta che si nutre di grande dedizione, competenza tecnica e quella dose d’amore che basta per raccontare la storia da un nuovo punto di vista. Partendo dalle piccole idee, come i sacchetti di stoffa che Davide ha fatto realizzare da una sarta, perché il pane si conservi meglio, “fino a 20 giorni”. Ai clienti che acquistano in negozio, propone uno sconto sul pane per chi sceglie di acquistare il sacchetto: “Un piccolo gesto per dare valore al prodotto, scommettendo una volta di più sull’artigianalità”.
Degustare il pane
Poi racconta del suo patto con i piccoli agricoltori che si impegnano a coltivare grani dimenticati per lui; di nuovo uno scambio proficuo, al giusto prezzo, per valorizzare una filiera messa in ginocchio da un prezzo di mercato del grano che penalizza chi lo coltiva. Intanto in platea si assaggia il pane, tre diverse lavorazioni, farine selezionate con cura per restituire profumi e sfumature di gusto diverse: “Il profumo del pane è un elemento quasi proustiano, ti porta in altre dimensioni, racconta il terroir”. Il merito, generalmente, è tutto della crosta, che grazie alla caramellizzazione degli zuccheri (la famosa reazione di Maillard) conferisce al pane il suo odore caratteristico. Alle note di degustazione – l’olfatto, il colore, la consistenza della crosta e quella della mollica – alterna consigli per utilizzare il pane in cucina. Come lui, sui palchi dell’Agorà, sono tante le maestranze dell’eccellenza gastronomica italiana che si alternano per raccontare il mondo dell’artigianalità del cibo. Con un linguaggio pop, come comun denominatore della manifestazione comanda.
Il cioccolato al latte. E la grande scuola torinese
Il risultato si apprezza anche quando con i riflettori si confrontano i grandi nomi del cioccolato torinese. Per parlare di cioccolato al latte - e sfatare il mito che sia la pecora nera della famiglia del cioccolato di qualità – il panel di relatori coinvolge Guido Castagna, Stefania Siracusa per Gobino, un mito del cioccolato piemontese come Bruna Peyrano, ma pure il pasticcere Andrea Monti e lo chef Nicola Batavia (patron del Birichin di Torino, e inventore del format The Egg), oltre a Claudio Pistocchi, che gioca fuori casa per portare l’invenzione che l’ha reso celebre quasi 30 anni fa, la celeberrima Tortapistocchi (“una torta ganache, praticamente il ripieno di un cioccolatino fatto torta”, a Torino proposta anche nell’ultima variante con uvetta e rum di Martinica). Il tema li porta a confrontarsi sull’evoluzione del settore, con un dibattito che non sempre procede sullo stesso binario, a testimoniare quanto il principale valore dell’artigianalità resti la sua molteplicità di intenti, obiettivi e risultati. C’è Guido Castagna, cultore del cioccolato fondente, che per interpretare il cioccolato al latte ha pensato di provocare con un “fondente al latte, al 70% di cacao Arriba”: una versione piacevolmente spiazzante, che accontenta tutti. Il maestro cioccolatiere torinese porta sul palco soprattutto il proprio sostegno al territorio e alla filiera agricola: “Basti pensare che le bucce del cacao sono reimpiegate come foraggio per le vacche, e ne stimolano la produzione di latte in modo naturale. Un bel modo per chiudere il cerchio, abbattendo gli scarti”. Bruna Peyrano si spende per ricordare l’importanza del terroir, e dispensa pillole di storia vissuta da protagonista. Sulla storia del cioccolato torinese si incappa pure quando con un viaggio a ritroso nel tempo si rintraccia l’origine del gianduiotto, “il primo surrogato nella storia del cioccolato”. Nel mezzo ci sono le provocazioni gastronomiche di Nicola Batavia, che al pubblico suggerisce insoliti abbinamenti da replicare a casa: un risotto con topinambur mantecato al cioccolato bianco, uno scampo crudo con scaglie di cioccolato al latte, e via dicendo sull’onda di una creatività capace di uscire dalle cucine professionali.
La bellezza dell'errore
Alberto Marchetti, Marco Serra, Davide Ferrero, Giulio Rocci, Massimiliano Scotti: cinque maestri dell'arte fredda a confronto. Tutti schierati in difesa del gusto e del concetto di “fatto in casa”, pronti a tutelare il valore delle creazioni originali, del carattere unico dei prodotti artigianali. Degli errori, di tutte quelle imprecisioni che rendono piatti, dolci e praline delle vere specialità. Ma determinati anche a sdoganare quei preconcetti secondo i quali piccolo equivale a buono, e grande azienda è sinonimo di una qualità inferiore. Perché è possibile raddoppiare, triplicare, replicare più e più volte l'offerta senza rinunciare al gusto, pur andando ad apportare delle piccole modifiche. Questo il pensiero di Massimiliano Scotti di Vero latte a Vigevano, mastro gelatiere e grande studioso delle materie prime, sempre alla ricerca dei prodotti più pregiati. “La qualità di un gelato deve rimanere la stessa anche se prodotto in un luogo diverso, ma necessariamente il sapore cambierà: le uova di Torino non sono come quelle di Roma, il latte fresco varia di pascolo in pascolo, e così via”. È proprio in questa caratteristica che risiede il fascino dell'artigianalità: “La mia crema pasticcera non sarà mai identica a quella di un mio collaboratore, e mi auguro che non lo diventi mai. Ogni ricetta ha la sua personalità, composta anche dalla mano di chi la esegue”. Ad abbracciare in pieno la sua filosofia, tutti i colleghi, in particolare Alberto, che aggiunge: “Se potessi aprirei un'altra sede ancora: alle volte la quantità può andare di pari passo con la qualità”. E se lo dice lui, che attualmente conta due punti vendita torinesi, uno ad Alassio, uno a Milano, più il progetto Casa Marchetti, gelateria, laboratorio e anche magazzino, possiamo crederci.
Abbinamenti: mieli e formaggi
Ancora sul fronte dolce, il miele, nettare degli dei, prezioso alleato contro diversi malanni e ottimo sostituto dello zucchero, adatto per ogni esigenza e tutte le età. Un prodotto versatile, solitamente pensato come dolcificante, ma che può rappresentare una valida alternativa agli zuccheri in cucina. “I mieli più delicati, come quello di acacia, vanno bene per tisane, tè, infusi, caffè. Ma quelli dal profilo aromatico più strutturato possono essere impiegati anche nella preparazione di ricette salate”, spiega l'apicoltore Luca Galli. Qualche esempio? “Il miele di castagno è il più intenso e persistente, per cui può essere accostato a una carne rossa dal gusto deciso”. Vero protagonista dell'evento, però, è stato il più classico dei connubi, quello fra miele e formaggi. Un rituale antico, tipico della tavola italiana (ma non solo), perfetto per iniziare o concludere un pasto. Una congiunzione ormai consolidata ma che può riservare delle sorprese, se studiata su misura da esperti del settore: “Per un gorgonzola possiamo optare per il miele di melata”, uno dei più particolari, “perché ottenuto non dal nettare ma da questa sostanza (la melata, appunto) prodotta dal metabolismo di afidi e altri piccoli insetti che si nutrono della linfa di alcune piante da cui le api, in mancanza di nettare, producono il miele”. Ma non solo: “Per gli erborinati dal sapore più forte come il gorgonzola, i più coraggiosi possono azzardare l'abbinamento con il miele di castagno, solitamente caratterizzato da note di resina, legno, e nuance affumicate”. Per la toma, l'eucalipto, “per niente balsamico come si tende a pensare, ma dagli aromi selvatici che rimandano al brodo e ai funghi secchi”, miele d'ambro su grana padano e parmigiano, “ma possiamo provare anche dei sapori più delicati, come l'acacia, se vogliamo mantenere le note dolci del formaggio”. Come sempre, dunque, spazio alla creatività, “non stancatevi mai di provare nuovi abbinamenti: non esistono regole fisse, ciò che conta è saper assaggiare ogni prodotto, così da poter ragionare su contrasti e assonanze, somiglianze e differenze”.
a cura di Livia Montagnoli e Michela Becchi