Dopo quasi sette decenni, il ristorante L’Antilope di Prato chiude i battenti, travolto dal paradosso del troppo lavoro e del troppo poco personale. Questo storico locale pratese, punto di riferimento per 66 anni, è sempre stato frequentato da decine di clienti. Cento coperti che ogni giorno vanno via in poche ore: «Basta alzare il bandone e c’è subito qualcuno che bussa», dice in un'intervista alla Nazione il titolare Stefano Masi, annunciando la chiusura del locale. Nonostante il successo, infatti, Masi e la moglie Alessandra Guasti hanno deciso di chiudere il locale. «Sono il primo ad entrare alle 7,30 e l’ultimo ad andare via dopo mezzanotte, è un lavoro totalizzante, e oggi, quando ai giovani chiedi di impegnarsi il sabato e la domenica, storcono subito il naso».
Dalla rosticceria al ristorante
Il ristorante, inaugurato nel 1958 come Girarrosto pratese dai genitori di Masi, Duilio e Onelia - racconta La Nazione - era un alimentari con rosticceria e tavola calda. Poi il cambio di nome, la trasformazione in ristorante, un restyling negli anni Ottanta e secondo dieci anni fa. «Siamo abituati alla vecchia maniera – racconta Masi – qui cuciniamo tutto a mano, non usiamo niente di preparato. Crostini di fegatini, cacciagione, ragù di carne, ogni piatto è fatto con ingredienti freschi e selezionati».
Una storia lunghissima che volge al termine. La decisione (sofferta) di chiudere è dovuta soprattutto alla mancanza di personale, un problema che pesa su tutto il settore della ristorazione ormai da diversi anni, in particolare dopo la pandemia. «Siamo davvero stanchi, gestire così tanti coperti in due è estenuante», confessa Masi. «Abbiamo avuto decine di stagisti dell'alberghiero, ragazzi bravi ai quali abbiamo offerto un contratto dopo il diploma, ma nessuno di loro si è fatto più sentire». La ricerca di cuochi per supportare il lavoro in cucina è andata sempre a vuoto. «È il paradosso di attività che chiudono perché non ci sono persone disposte a lavorare. Succede anche questo».