Tra le mura, nei suoi tavoli, davanti alle sue serrande, è passata la storia di Roma, del suo antico ghetto e del portico paleocristiano dedicato alla sorella di Ottaviano. Ruderi augusti, memorie di fasti e di tragedie, riuniti in Piazza da antiche tradizioni culinarie ‘povere’, con un inno al sapore schietto del vero carciofo alla giudia: un addetto li pulisce a vista, trecento, quattrocento al giorno, e in primavera, all’aperto, la catasta occupa due tavoli. Carciofo fritto due volte di cui si ha memoria fin nei ricettari del Cinquecento e di cui sembra fosse golosa anche Caterina de’ Medici. E con una trisnonna Ines, originaria dei Castelli, che alla fine degli anni Venti cominciò a friggerli su improvvisati fornelli stradaioli, offrendone pezzetti ai viandanti dei vicoli.
Buon compleanno Giggetto
Compie 100 anni "Giggetto al Portico d’Ottavia", icona della tradizione gastronomica giudaico-romanesca, un luogo dove ancora sono di casa termini del cinema neorealista come “fagottari”, “caratelli”, “caramellotti”, “peracottaro” e “fusaiaro”, e annovera tra gli amici della ditta, indimenticabili, zi’ Lupone, Abramone, Romoletto, Angelino il quaranta e Lazzaro Anticoli, il Bucefalo, il pugile ebreo giustiziato alle Fosse Ardeatine.
No, “Giggetto” non è un luogo qualunque, ogni tassinaro romano sa dove andare se gli chiedono quel ristorante, la Piazza era come vuota senza i suoi tavoli all’aperto durante gli anni del Covid. Ed è ancora visibile l’antica porticina da dove i titolari facevano fuggire dal Ghetto verso una stradina laterale, gli ebrei che vivevano nei palazzi vicini braccati dai nazi-fascisti.
Giggetto al Portico d'Ottavia, un pezzo di storia
E in un bel libro e nel video realizzati per le candeline dei 100 anni, i due anziani zii, Clara e Armando Ceccarelli, 91 e 96 anni, ricordano la loro Roma che fu e non hanno dimenticato una delle scene più strazianti della storia italiana, furono testimoni, e lo raccontano, la mattina del 16 ottobre ’43, della razzia del Ghetto compiuta dai nazi-fascisti. “Abitavamo nel palazzo accanto all’osteria, piovicciccava e sotto si sentivano le urla dei tedeschi che spingevano sui camion quelle povere persone. Li vedemmo dagli spioncini di casa, ovunque c’era il terrore” ricorda Armando, che allora aveva 17 anni, di religione cattolica come tutta la famiglia, omone buono e semplice che ancora si commuove. E dopo il rastrellamento Giggetto chiuse per quasi un anno l'osteria, portò via tutta la famiglia nelle Marche che fu ospitata da un parente.
Un secolo lungo un sorso
Un secolo di vita unica e intensa, dunque, salutato lunedì sera con un bicchiere di rosso, gli stornelli romaneschi e un trionfo di carciofi per amici e vecchi clienti chiamati a raccolta e abbracciati con schietto calore familiare.
''Ma abbiamo voluto fare un brindisi sobrio e semplice – così l’ha voluto Lidia, 84 anni, nuora del fondatore Giggetto – un segno di rispetto per gli amici della Comunità ebraica e quello che stanno vivendo in questi giorni. È un momento di dolore per tutti ma a questo appuntamento lavoravamo da mesi, era impossibile fermare la macchina organizzativa”. Solo poco giorni fa, a un centinaio di metri del ristorante è stata allestita la lunga tavolata deserta da 203 posti, come il numero degli ostaggi ebrei prigionieri di Hamas.
Chi era Luigi Ceccarelli, in arte Giggetto
La storia del ristorante inizia dopo la Prima Guerra Mondiale, quando Luigi Ceccarelli, noto come "Giggetto", prima ferroviere, poi portuale a Civitavecchia ma col fisico mingherlino, poco adatto a fare lo scaricatore, decise di tentare la fortuna a Roma. Con la moglie Ines decisero di acquistare una vecchia osteria. Non erano di religione ebraica ma al Ghetto c’era spazio e accoglienza e “qui siamo rimasti anche ad abitare da tre generazioni, subito integrati e con nonna Ines che, pur da cattolica, si vestiva a festa nei giorni delle ricorrenze ebraiche e le sue amiche le chiedevano e ridevano: ‘A Ine, mo’ vieni in Sinagoga pure te?’ e l’abbracciavano, ricorda Claudio Ceccarelli, titolare del ristorante insieme al fratello Marco, figli di Franco e Lidia, la signora che ancora è alla cassa e che ogni cliente la omaggia con un rispettoso saluto. Nipoti di Giggetto e Ines, quindi terza generazione di ristoratori. Un terzo fratello ha la pasticceria accanto, “La Dolce Roma”, e un quarto ha scelto un’altra professione.
La ricetta segreta
Nel corso degli anni i proprietari hanno dedotto una loro “formula vincente”: la presenza dei proprietari 7 giorni alla settimana, il rispetto della tradizione con le ricette, sempre le stesse, tramandate dal fondatore, un personale fedele che fa parte della famiglia allargata. E grande attenzione alla qualità dei prodotti: per esempio, il Giggetto è uno dei pochissimi ristoranti a Roma che ordina il baccalà direttamente dall’Islanda e gli arrivano i pescioni interi ancora da salare, e punta sui produttori piccoli, come il guanciale della Valnerina, per sostenere le realtà locali.
E così, nei giorni della tramontana, da Giggetto a Roma ai tempi di nonna Ines si mangiava la zuppa di pasta, broccoli e arzilla, la concia, con le zucchine asciugate al sole con l’aceto, le triglie pasticciate, quelle piccole piccole, scartate dal pescivendolo e insaporite con uva passa e pinoli. Adesso, oltre al carciofo, il re è il filetto di baccalà: il pesce arriva intero, con la spina e aperto a libretto, peso minimo sei chili, e la pastella è leggera, diversa da quella usata per il fiore di zucca.
"Se va male è colpa tua"
Così Claudio Ceccarelli spiega il concetto fondante. “Mio padre diceva sempre: ricordati bene di comprare prodotti di qualità perché così già stai al 50%. E se li cucini bene, hai fatto il massimo. Se le cose vanno male non ti affacciare a vedere gli altri, perché non è la colpa degli altri ma è tutta colpa è tua”.
(s.c.)