È durata meno di due anni l’avventura di Terry Giacomello al Ristorante NIN a Brenzone sul Garda, all’interno del Park Hotel Belfiore. L’annuncio con un laconico comunicato da parte dell’ufficio stampa dell’albergo: “Ristorante NIN – si legge - annuncia che la collaborazione con lo chef Terry Giacomello non proseguirà nella stagione 2025. Il progetto avviato dallo chef Giacomello è stato costellato da importanti riconoscimenti e sono stati raggiunti ambiziosi traguardi ma, alla luce di nuove prospettive future, con consapevolezza e in estrema armonia, è stata presa la decisione di proseguire separatamente i rispettivi cammini professionali e imprenditoriali”. Nulla si sa dei motivi che hanno portato al divorzio. Non certo i risultati: con l’arrivo di Giacomello Nin aveva conquistato la stella Michelin immediatamente, nell’edizione 2024, e l’aveva confermata in quella 2025. Non si sa nemmeno chi sostituirà Giacomello nel ristorante vista lago, che attualmente sta osservando un periodo di chiusura invernale e riaprirà a marzo “con una proposta gastronomica rinnovata, sempre di alta cucina, ma maggiori dettagli saranno forniti nei prossimi mesi”.
Troppa avanguardia?
Di certo sarà un NIN normalizzato quello del prossimo futuro. Giacomello, friulano di Montereale Valcellina, classe 1969, è infatti l’ultimo degli avanguardisti della scena gastronomica italiana. La sua formazione “adriana”, le sue frequentazioni con Andoni Luis Aduriz, Rene Redzepi, Alex Atala e Michael Bras lo hanno spinto a non venire a patti con lo spirito dei tempi e a non arretrare nemmeno di un centimetro rispetto alla sua idea di cucina futiristica e spinta, spesso al limite della sgradevolezza. Nessun compromesso in lui, l’idea sempre più importante del sapore. E di idee ne ha a bizzeffe: l’ultima mia esperienza al NIN, la scorsa estate, era stata una vertigine di una trentina di micro-portate di cui reco un ricordo quasi onirico.
Ero stato sconvolto dal Cactus servito tra gli snack iniziali, con vera foglia di cactus messicana farcita con crema di mais salato e leggermente tostato ed erba oliva per riprodurre le spine, stupito dal Cotone di pollo servito in cima a una galletta di riso proteico e ponzu di sudashi, sbigottito dal Bulbo di tulipano cotto sottovuoto con burro chiarificato con bacche di pepe di Sichuan, petali di tulipano sotto aceto, café de Paris, centrifugato dello stelo del tulipano leggermente acidulato. Poi ancora un Falso lardo che in realtà è un fungo bianchissimo cotto sottovuoto con il lardo di colonnata; l’Ackee, un frutto giamaicano particolarmente grasso simile come consistenza all’avocado ma nel sapore più vicino al mais; la Seppia in bianco e nero che è trasformata nel suo osso meringoso con un garum creato dalla fermentazione di 60 giorni di ritagli sella seppia stessa, del suo nero, e del goji nero; fino al piatto più visionario e quasi respingente, l’Acd, un’ostia di tartrati del vino bianco opportunamente trattati e a cui lo chef dà la forma della sua regione posta si un caramello di miso bruciato, uno schiaffo di acidità per palati mediomassimi.
Nuove avventure, ma quali?
Forse tanto estremismo era troppo per la placida terrazza frequentata, oltre che da qualche gourmet, da turisti lacustri. Forse Giacomello avrebbe bisogno di un contesto metropolitano più in linea con certi eccessi quasi artistici, disturbanti, alla Maurizio Cattelan, a cui lui per primo dedicò la citazione di una banana-dessert. “Nuove avventure attendono chef Terry Giacomello e presto saranno svelate”, dice il comunicato. Lo chef friulano, da me contattato, ammette di non avere al momento alcun progetto definito: “Vedremo!”, mi scrive.