Nel ghetto ebraico c'è la più antica pasticceria di Roma (che prepara anche una grande crostata)

9 Gen 2025, 12:36 | a cura di
Da 250 anni la bottega della famiglia Limentani, da tutti nota come Boccione, sforna antichi dolci kosher e una "pizza" molto particolare

«E bruscolino come sta?» Questo è il nomignolo che Vilma dà a tutti i bambini di cui non ricorda il nome. In questo caso, è riferito a mio figlio, che da quando era piccolo portavo da Boccione a fare una merenda speciale la domenica. Spesso parche di sorrisi, le sorelle e cugine che stanno dietro al bancone dell'antica pasticceria Boccione, alla presenza di bambini si illuminano, riservando loro coccole, assaggini e ammiccamenti. «Vuoi una fetta di krantz, bruscolì? Tieni, metti in tasca i ginetti», e senza perdere un colpo, si rivolgono ai prossimi signori in coda con una secca alzata di mento che è la muta domanda: "Tu che vuoi?". Nel cuore del ghetto ebraico, il forno Boccione è un'istituzione da più di due secoli e mezzo: nato come spaccio di generi vari, oggi è una celebre pasticceria che da generazioni sforna quotidianamente un panetto rinascimentale e una delle torte più iconiche di Roma.

La storia della più antica pasticceria di Roma

La minuscola pasticceria kosher del ghetto ebraico di Roma non ha un'insegna, la vetrina espone alcune torte, ma man mano che queste vengono vendute nessuno si preoccupa di riassortire le mensole. Eppure c'è sempre la fila per entrare. Il profumo inebriante di cannella, mandorle e zucchero caramellato si diffonde attraverso l'ingresso e ruzzola sulla piccola piazzetta dove bambini giocano a pallone e i passerotti attendono impazienti per qualche briciola. Quanta storia c'è in quell'antica bottega.

esterno boccione ghetto ebraico

L'attività è di proprietà della stessa famiglia da quando, più di 250 anni fa, i bisnonni di Grazia, ovvero la nonna di Vilma Limentani – classe 1950, quinta generazione e attuale titolare – avviano una bottega con spaccio di generi vari. Il nome "Boccione" si deve al nonno Cesare, che da piccolo è stato accusato ingiustamente di aver fracassato con una pallonata un boccione, ossia una damigiana. Una volta lasciati alle spalle gli anni bui del rastrellamento e della guerra, la bottega prende a lavorare come forno a pieno regime, concentrandosi sulle semplici preparazioni di pasticceria della tradizione. A 12 anni Vilma sceglie di lasciare la scuola e lavora a tempo pieno nel laboratorio di dolci kosher, cioè che rispettano le regole alimentari ebraiche.

A quel tempo però la bottega non disponeva ancora di un forno e così tutti i giorni, le Limentani (tutte donne, tutt'oggi) facevano la fila ai forni a legna del rione per cuocere i loro biscotti. Ancora oggi come allora, e con le stesse ricette, le Limentani preparano amaretti, biscotti alle mandorle e cannella, ginetti, lievitati e brioches glassate, trecce con le codette bianche e ciliegie candite che si preparano di venerdì prima dello Shabbat, e gli amaretti di pasta di mandorle che poi vengono infornati tutti nel retrobottega di pochi metri quadri. «Qualche anno fa, quando si è liberato il grande locale di rimpetto, ci hanno offerto di comprarlo e trasferirci là per avere più spazio, aggiungere macchinari, e servire ai tavolini fuori. Ma niente da fare, abbiamo deciso di restare qui, dove siamo nate», racconta Vilma. Quando mi fermo da lei per comprare biscotti o altre delizie, facciamo sempre due chiacchiere, mi racconta del suo nipotino, coetaneo di quel mio "bruscolino" ormai maggiorenne, commentiamo l'andmento dell'overtourism, ci lamentiamo del caldo a luglio e del freddo a febbraio. E ci salutiamo sempre dandoci appuntamento al prossimo food tour.

boccione ghetto ebraico

foto Andrea Di Lorenzo

Il mio primo giro gastronomico quindici anni fa, era per dei clienti importanti: un pasticcere di Chez Panisse, suo marito e sua madre, una minuscola signora asiatica avara di sorrisi ma con un appetito insaziabile. In coda per entrare ripassavo a mente il mio discorso: la data di fondazione dell'antica bottega su via del Portico d'Ottavia, la storia della famiglia e delle specialità in vendita, ma continuavo ad essere distratta dal pensiero che dopo questa bella idea di portare un pasticcere VIP in un buco dove si bruciano volutamente i biscotti, dove il pavimento è ricoperto di segatura e dove le banconiste sono spesso musone, sicuramente non avrei mai più avuto occasione di guidare food tour, tanto negative sarebbero state le critiche dei clienti. Eppure, è bastato un morso di "pizza di beridde" per cancellare tutti i miei timori.
«Sono cresciuto a Brooklyn, che in quell'epoca era un arcobaleno di emigranti» ha esordito il pasticcere, «vengo da una famiglia coreana, vivevamo tutti vicini, gli inquilini a fianco erano ebrei sefarditi e dall'altro lato c'era una famiglia di siciliani. Tutti cucinavano per tutti, vigeva assoluta "open door policy" ovvero la porta delle nostre case era sempre aperta, e noi bambini eravamo sempre ben nutriti dai vicini: mangiavamo un mix di sapori italiani, coreani e iberici. Assaggiare questo dolce che non saprei come definire mi ha riportato ai pomeriggi a Brooklyn…è il sapore della mia infanzia» sussurrava commosso. Dopo quell'inaspettato successo, porto sempre i miei clienti, VIP e non, all'antico forno Boccione.

pizza ebraica di beridde ghetto ebraico boccione

foto Andrea Di Lorenzo

La pizza ebraica o "di beridde"

Chiaramente quella pizza ebraica chiamata anche "di beridde" non è affatto una pizza, ma piuttosto un panetto non lievitato con pochissima farina e zucchero, e costellato però di mandorle, uvetta, pinoli e canditi, con un pizzico di sale e un goccio di marsala per formare un impasto morbido, che viene cotto in teglia fino a quando i mattoncini emergono dal forno con la tipica patina brunita, il marchio di fabbrica di Boccione. Anche qui infatti la cottura è spinta per compensare la dolcezza degli ingredienti. È una preparazione rustica, il cui sapore dolce-salato e la consistenza densa è sempre una sorpresa per chi l'assaggia per la prima volta. Le origini della pizza ebraica sono poco conosciute, ma le Limentani mantengono sia stata portata a Roma dalla Sicilia sotto la dominazione spagnola nel XVI secolo dagli ebrei in fuga dall'Inquisizione. Il nome beridde è la storpiatura del termine "Berith Milà", la cerimonia con la quale si dà benvenuto ai neonati maschi. Era uso dare in dono agli ospiti presenti alla cerimonia un pane ricco, quello diffuso in mezza Europa a seguito della diaspora dalla Spagna del 1492. Adesso la pizza ebraica non è più legata esclusivamente alla cerimonia di circoncisione, ma restano pochi i luoghi al mondo che la preparano secondo l'antica ricetta. Boccione è fra i pochi.

La torta di ricotta e visciole

Oltre a incoraggiare i miei clienti ad assaggiare la pizza di beridde, se non intimiditi dai modi schietti di Vilma e di sua nipote Sandra, durante i food tour faccio anche assaggiare la leggendaria torta di ricotta e visciole. Da mangiare con le mani perché non sono previsti piattini o posate a meno che non si portino da casa. Obbligatorio imbrattarsi nel processo, perché i tovagliolini a disposizione sono quelli "cerati" che spostano più che pulire. La torta, guai a chiamarla crostata, dal notevole peso specifico è una felicità di ricotta montata e confettura di visciole, racchiuse in un doppio strato di frolla caratterizzato dall’inconfondibile cupola bruciacchiata. Tutte diverse e lievemente irregolari, le torte di ricotta e visciole (o anche di ricotta e cioccolato fondente) si comprano intere oppure vendute a porzioni, a 24 Euro al kg. Occhio che si esaurisce tutto rapidamente, specie la domenica.

Forno Boccione - Via del Portico d'Ottavia, 1 - Tel. 06 687 8637

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