Potrebbe essere l'Antico Vinaio dei gelati. Molte le assonanze tra Don Peppinu e la focacceria fiorentina, conosciuta in tutto il mondo, di Tommaso Mazzanti (che ha recentemente aperto a Las Vegas). Entrambe floride aziende familiari, entrambe con più punti vendita, anche all'estero, entrambe con file eloquenti di clienti affezionati e curiosi. «Non siamo ai livelli dell'Antico Vinaio ma ci difendiamo!», fa Peppe Flamingo, siciliano doc, schietto, a tratti tagliente, entusiasta, che insieme al fratello Alberto gestisce sette gelaterie, tra Ragusa, Modica e Catania, compresa una in arrivo a Malta. «Sono tutte gestite da noi, siamo la gelateria familiare che probabilmente fattura di più in Italia – siamo nell'ordine di 4,5 milioni di euro nel 2023, ndr – tolti Venchi che ha capitali di azionisti, Grom che ormai è di Unilever e la Romana che è un franchising. Tutti i nostri negozi sono di nostra proprietà (tranne quello a Miami, ndr). Se in media oggi una gelateria in Italia fa 150mila euro di incasso l'anno, noi tocchiamo una media di 800mila euro per negozio».
La qualità nonostante (o forse grazie a) i grandi numeri
Non nascondiamo il nostro scetticismo: come si fa a mantenere la qualità con un giro di affari così? Con una produzione di gelato che arriva anche a 500 chili al giorno, 100 vaschette, a negozio? «È molto più semplice standardizzare con sette punti vendita rispetto a chi ne ha uno solo. Punto primo abbiamo un laboratorio per ciascun negozio, punto secondo abbiamo una potenza economica che ci permette di comprare attrezzature sempre all'avanguardia. Poi, nel laboratorio centralizzato a Modica riusciamo a fare in casa praticamente tutto, dalla pasta di nocciola o di pistacchi a tutte le variegature», ci spiega Peppe, che tra qualche mese uscirà con un libro che probabilmente farà discutere «dove ogni falso mito del mondo del gelato verrà sfatato», a cominciare dalla “santificazione” dell'artigiano.
“I cosiddetti artigiani non sempre garantiscono una qualità maggiore”
«Una delle osservazioni che sento fare più spesso è quella che vorrebbe associare il discorso qualitativo alle dimensioni dell'azienda. Ma considerate che il sistema dell'artigianato in Italia è complicato. Ormai non si può più fare solo gli artigiani, c'è la burocrazia da seguire (cambiano norme ogni mese), la contabilità da gestire, bisogna comunicare il proprio lavoro anche attraverso il markenting, poi ricercare le materie prime e infine produrre il gelato. Chi ha tutto questo tempo? Uno da solo non riesce a seguire tutte queste incombenze. Scordatevi l'immagine romantica del gelatiere artigiano che manteca i suoi gelati nel retrobottega. Ecco perché sempre più spesso i piccoli artigiani, subissati di cose da fare, tagliano lì dove è possibile tagliare, a cominciare dalla ricerca delle materie prime».
Sta dicendo che più si è piccolo e più si scende a compromessi con la qualità? «Non proprio. Continua a resistere una micro nicchia di artigiani veri – lo confermiamo: sono quelli che il gelato lo fanno espresso e una volta terminato il gelato quel giorno, chiudono bottega. E, combo bellissima, sono sempre più giovani, pensiamo a un Sablé Gelato a Bologna oppure a Gelato Contadino a Bergamo - ma siamo in una fase dove più si è piccoli e più si è vittime di escamotage».
Da agente che vendeva “polverine” a gelatiere
Cosa intende per escamotage? «In molti usano i cosiddetti prodotti “Sprint” delle industrie, ovvero polverine dove dentro c'è tutto, pure la panna in polvere, e che si preparano solo aggiungendo acqua calda. Tra l'altro questi semilavorati costano meno rispetto alla materia prima vera e propria». L'imprenditore parla effettivamente con cognizione di causa perché lui le vendeva queste polverine: «Prima di aprire nel 2011 la prima gelateria a Marina di Ragusa, ero agente di commercio per un'azienda che produceva semilavorati, vi posso garantire che il 90% delle gelaterie usava solo semilavorati. Magari la situazione negli ultimi anni è cambiata, però fatto sta che per i primi due anni li ho utilizzati anche io, credendo di fare un buon gelato. Poi la svolta: un amico, grande palato, è venuto a trovarmi e mi ha detto che il mio gelato era mediocre».
Il resto è storia abbastanza recente, «ho cominciato a studiare, a pormi delle domande: perché devo usare l'aroma di fragola e non le fragole? Perché il “neutro” (insieme di addensanti, perlopiù naturali, che restituiscono la tipica texture al gelato, ndr) non me lo posso fare io? Perché non posso essere l'artefice del risultato che voglio ottenere? Da questo approccio è nato il Don Peppinu di oggi, nei nostri gelati usiamo oltre il 10% di frutta secca per il gusto nocciola o pistacchio, non usiamo alcuna base, le paste ce le facciamo noi». Attenzione però a non cadere in un altro falso mito, quello del “faccio tutto in casa” sinonimo di qualità.
Nel 2025 la prima fabbrica di gelato in Italia
«Non sempre, infatti ci attestiamo a pochi prodotti: brioche, grandi lievitati, gelati e coni, quest'ultimi per onorare mio nonno “Peppinu” che produceva coni per gelati. Fino a qualche anno fa abbiamo mantenuto la produzione per conto terzi, ora li facciamo solo per i nostri negozi. Tornando al discorso del “farsi tutto in casa” credo che se si hanno le possibilità economiche e logistiche sia meglio farsi tutto, così l'unica cosa che non posso controllare è la materia agricola, non posso sapere se quest'anno il Mandarino tardivo di Ciaculli sarà intenso come lo scorso anno, ma sono in grado di dirvi che da noi utilizziamo solo il succo del mandarino spremuto. Per chiudere il cerchio, tra i progetti futuri, c'è in ballo la realizzazione di un'azienda agricola, con pistacchieto, e la prima fabbrica visitabile di gelato, a Modica, dove c'era l'azienda di mio nonno». E si chiude un altro cerchio.