Come un mantra, la sostenibilità si affaccia in ogni ponencia di Gastronomika, più o meno direttamente. È una questione di approccio. Si tratti di come ridurre gli sprechi e ottimizzare le materie prime (vedi il lavoro sulle pelli animali da usare come snack proteico di Begoña Rodrigo) o dell'allarme per i cambiamenti climatici e i rischi che corrono i vari ecosistemi (Ángel León e il trio Abellan-Jubany-Zafra), della scoperta e la tutela del patrimonio agricolo e culturale originario, della celebrazione della caccia condotta in modo etico (Luis Alberto Lera), o dell'invito alla condivisione di sapori e culture (sua maestà Joan Roca).
Gatronomika 2019. La ricerca delle origini
Leonor Espinosa è finita sotto i riflettori mondiali con la vittoria del Basque Culinary World Price 2017 e il premio come migliore chef donna nella 50 Best America Latina. Ma il suo impegno a favore della gastronomia colombiana è di lunga data. Più di 10 anni, durante i quali ha dato vita alla Fanleo, la Fundación Leo Espinosa che mira a valorizzare il patrimonio ambientale e di biodiversità del suo paese, quel complesso unico di prodotti, tradizioni, organismi sociali, territori: “ci sono 45 ecosistemi in Colombia” racconta. E ne dà un assaggio elencando animali e vegetali tipici, illustrandone impieghi e mostrando come in che modo la sua creatività rivesta di un nuovo appeal gastronomico i prodotti nativi. Alcuni già impiegati in cucina, altri no. La sfida è di esplorare nuovi confini, così da dare, alla Colombia, un ruolo che ancora le sfugge: di potenza gastronomica mondiale. Tutto a partire dalla cucina popolare, quella dei villaggi, forte di una incredibile ricchezza alimentare. E di una sapienza nel trarre il massimo da prodotti poveri - esempio è l'onnipresente manioca, comune a tutto il Sudamerica – quelli di cui si fa ambasciatrice. Il suo lavoro, oggi, è tutto volto all'indagine sul territorio, con il suo patrimonio naturale, i prodotti dei vari ecosistemi, sapori ancestrali rinnovati però con piglio moderno. Un esempio è il gel di piedino di vitello, qui impiegato per arricchire un dessert con marshmallows.
Di biodiversità parla anche Kurt Schmidt (Ristorante 99, Santiago, Cile). Cileno, esperienze al Noma (Danimarca), da Azurmendi e Aponiente, non tradisce la sua formazione: studia prodotti locali, "anche quelli della Patagonia, che i navigatori della spedizione di Elcano e Magellano hanno sicuramente visto": guanacao (un mammifero ruminante), i frutti di araucaria, l'ulte (un'alga), il piure.
Più vicino, Diego Schattenhofer, argentino di stanza a Tenerife (prima tappa del viaggio di Magellano e di Elcano), lavora per costruire un racconto gastronomico pienamente locale. Lo fa insieme a storici e ceramisti, in collaborazione con il Dipartimento di Neuroscienze dell'Università della Laguna, il CSIC e il Centro oceanografico delle Isole Canarie. Schattenhofer non è nuovo a collaborazioni del genere, come nel progetto Astrochefs, che mette insieme cuochi e scienziati. Nel menu del 1973 Taste Restaurant, una piantina geografica è la chiave per lasciare impresso nella memoria quel degustazione che pesca a piene mani i prodotti dei Guanches, gli antichi abitanti delle Canarie. Primo tra tutti la capra, onnipresente abitante delle isole. Così dimostra dove può portare l'evoluzione della cucina contemporanea applicata a un prodotto tipico come il formaggio di capra invecchiato in grotta, a 8 metri di profondità. Nel suo Ricordi di Tenerife è quello il potente sapore del territorio.
Gastronomika 2019. La ricerca del prodotto
Cosa sapete delle ostriche? Quali sono i luoghi in cui nascono? Quali le regole e le normative di produzione? Qual i momenti e gli ambienti migliori per avere un grande prodotto? Come aprirle e come mangiarle? A questo risponde Pedro Subijana (Akelarre, San Sebastian) uno dei grandi saggi della cucina ispanica, oltre che membro del comitato tecnico del congresso. Racconta delle ostriche e del loro produttore e si – anche se il suo intervento ha tutta l'aria di essere uno spot – la lezione è avvincente. Lo annunciava lui stesso: “non voglio annoiare”. La componente ludica e quella del godimento hanno pari valore di quella didattica, ne sono il veicolo. Comunicare il prodotto, dunque, ma con gusto. Difficile ancora di più quando si ha di fronte una materia prima che basta a se stessa. Che vale da sola, nuda, o appena acconciata con minimi contrappunti. Invece Subijana prende la rincorsa e va: “ogni anno facciamo una nuova ricetta con le ostriche”: ostriche con uva, bonbon di ostriche, ostriche con maiale (per esempio in quella alla griglia con terrina di maiale iberico e maionese di ostriche) o ancora nel gioco del trompe l'oeil del guscio trasparente al sapore di ostrica.
Dalle ostriche ai gamberi, dal maestro Subijana al trittico di Barcellona composto da Carles Abellan (La Barra de Carles Abellan), Nandu Jubany (Pur) e Rafa Zafra (Estimar, da poco anche a Madrid) per parlare ancora una volta di sostenibilità e di pesca, di prodotto – sì – ma anche di regole e di aree marine. “Un fattore fondamentale, perché l'animale è sempre lo stesso, a Roses o Denia, ma il modo in cui vengono catturati è diverso e questo incide”. Per esempio le profondità marine di fronte a Roses danno un prodotto incredibile, unico. Lo sanno bene loro che si sono imbarcati con i pescatori di Cap de Creus per approfondire la conoscenza di questo tesoro del mare. Un prodotto “versatile” di cui si usa ogni parte in tanti modi diversi: crudo, salato, al vapore, grigliato, saltato, puro o con abbinamenti diversi. Un po' come il maiale: del gambero non si butta via niente.
Lo zucchero di mare
E non solo del gambero: l'ambiente marino è una dispensa pressoché infinita, per chi la sa guardare. Lo dimostra con il suo lavoro, anno dopo anno, Ángel León (Aponiente, El Puerto de Santa María), che arriva con una nuova incredibile scoperta (l'ennesima): "Abbiamo trovato zucchero nel mare" l'annuncio del cuoco del mare che continua la sua ricerca. Il suo universo è l'ambiente marinio e da lì ricava tutto quel di cui ha bisogno. L'ultima frontiera della sua ricerca è dunque lo zucchero, tratto da una pianta alofila delle paludi. Di colore verdognolo, ha sapore neutro e potenzialità ancora da esplorare. Un impegno cui lo chef si dedica con pervicacia, nella ricerca di prodotti – come il plancton e la biomassa luminosa - e di nuovi processi: nei mesi scorsi ci sono stati la cottura del sale e i salumi di mare – come la straordinaria pancetta prodotta con gli scarti dei pesci (un tempo la preparava con il polpo) di cui oggi produce 600 kg. a settimana - oggi ci sono i formaggi marini, senza proteine del latte. E poi ancora nuovi pesci, anche specie infestanti (Aplysia, Guppy)che, portate nel menu, offrono nuovi spunti gastronomici (e intanto si rimette in equilibrio l'ecosistema, alla stregua di quanto fa Kurt Schmidt che lavora carne di coniglio o castoro, specie invasive che distruggono coltivazioni). E stupisce con lo stinco di tonno con burro e tartufo e purè di patate di mare (omaggio a Santi Santamaria). Nuovi tasselli per una dispensa sempre più marina, ma sempre meno legata ai pesci e al loro consumo tradizionale che, un domani, potrebbe scomparire del tutto da Aponiente.
Dal mare alla terra, per parlare ancora di prodotto, stavolta di cacciagione e di carne. Lo fa Luis Alberto Lera – esperienze con Arzak, Hilario Arbelaitz e Abraham García – che ha condotto una ricerca con l'Instituto Agrario de la Junta de Castilla y León per studiare il processo di maturazione delle carni, giungendo a risultati ancora non definitivi ma che sembrano supportare la sua poca propensione a certe frollature: “Personalmente, non credo nella maturazione della carne. Al nostro ristorante (Lera a Castroverde de Campos) non ne facciamo, sia per motivi di igiene perché alimenta il processo batteriologico ed è una cosa che potrebbe non essere consigliabile, sia perché credo che il gusto, soprattutto quello della cacciagione, debba rimanere il più possibile integro”. Usa invece le marinature, salamoie e altre tecniche di cui bisogna recuperare la memoria e reimpiegarle in modo nuovo, per usare al meglio la selvaggina.
Gatronomika 2019. La ricerca delle idee
Indonesia è cultura, persone, natura avventura mercati, è il posto in cui il canadese Kevin Cherkas lavora. Approdato in Asia 40 anni fa (non prima però di un lungo apprendistato da El Bulli e Arzak) pensando di proporre una cucina occidentale per clienti asiatici: “la odiavano” raconta “pensavano fosse cibo senza sapore”. Un disastro, un errore clamoroso. “Ho dovuto cambiare modo di pensare e di cucinare”. Quando ha aperto Cuca Flavor (Bali, Indonesia) ha capito che doveva trovare un novo feeling ai prodotti locali, che gli asiatici consideravano noiosi e cheap e gli occidentali guardavano con diffidenza. Serviva un'idea. Prende ispirazione dai cibi più deliziosi mai mangiati e ripensa quei prodotti esotici. Così nascono il pollo satay con peperoncino local, la crocchetta di Keluak, il seme tossico di un frutto dal sapore umami; il lecca-lecca croccante di kerupuk con la cialda di pesce salato, e il crumble di papaya.
Quando sale sul palco Joan Roca (El Celler de Can Roca) l'auditorium, come sempre, è in preda a un incantesimo, per via di quella capacità di entrare-uscire dal ruolo, giocare con la propria memoria affettiva (con tanto di immagini dei genitori seduti al tavolo del Celler), dispensare lezioni di vita e di cucina. È uno dei guru mondiali, e tra i più amati: ci sarà un perché. Così anche quando snocciola la retorica del viaggio, ispirato all'anniversario del giro del mondo celebrato da questa edizione di Gastronomika, lo fa in modo efficace: mescola ricordi d'infanzia, anche lui giocava con modellini di barche (inclusa quella di Elcano), episodi di vita familiare, racconta della scoperta di prodotti e della nascita di nuove ricette (la tatin di maialino e rape salate dal sapore di mela scoperte in Giappone o il piatto di verdure crude e sottaceti di suggestione turca). Poi parte all'attacco sul valore del viaggio come prolifico incontro di culture, tassello fondamentale dentro e fuori la cucina. C'è da credergli: forte di un team di 23 nazionalità diverse che quotidianamente alimentano di idee e suggestioni El Celler, ha l'esperienza tangibile del valore della multiculturalità. Tanto che gli dedica il percorso di benvenuto per i clienti: un modellino del pianeta terra con snack di diversi paesi da abbinare per attivare il meccanismo che apre il globo e svela l'ultimo boccone, quello che fa da monito e invita a mettersi in moto per difendere il pianeta.
a cura di Antonella De Santis