Nei primi anni della casa editrice e di questa bella storia avviata da Stefano Bonilli, quando 35 anni fa la sede del Gambero Rosso era a via Ripetta 66 (dal gennaio 1989 alla primavera del 1992 per la cronaca), qualche volta - lo confessiamo - andavamo a mangiare al McDonald’s di piazza di Spagna (qui trovate la classifica recente dei migliori fast food).
La redazione dei primi anni
All'inizio del 1989 in redazione eravamo quattro gatti, anzi cinque: il direttore Stefano Bonilli, Annalisa Barbagli (che all’epoca lavorava all’amministrazione, prima di passare a breve alla redazione come esperta di ricette), Laura Mantovano, Andrea Gabbrielli e la sottoscritta. Daniele Cernilli, storico del Gambero Rosso fin dalla prima ora, vice direttore e curatore della guida Vini d'Italia, ancora insegnava alle scuole medie. Collaboratori fissi Cristina Barbagli, nutrizionista che si occupava dei test dei prodotti, Luciano Del Sette, l’esperto di viaggi che faceva girare il mondo con i suoi mirabolanti articoli prima di entrare in pianta stabile nel 1992, e Franco Dammicco, inossidabile figura dell’ufficio commerciale che all’epoca lavorava ancora per il quotidiano Il Manifesto, di cui il Gambero Rosso era un allegato mensile in formato quadrato extralarge.
Andavamo da McDonald’s quando il tempo era bello ed eravamo in vena di un disimpegnato relax. Era un’occasione per fare una passeggiata, in inverno sotto il sole tiepido romano, attraversando una bella zona del centro: via della Frezza o il bianco sparato di piazza Augusto Imperatore, il guado caotico di via del Corso prima di entrare in una delle strade dello shopping griffato – via della Croce, via delle Carrozze, via Condotti – che portano a piazza di Spagna.
Il triennio 1989-1991
Erano i tempi in cui scrivevamo gli articoli in pezzi da museo, Andrea battendo rumorosamente i tasti di una macchina da scrivere alta e nera, con la cravatta portata indietro come una sciarpa, Laura su una Olivetti Lettera 24, io su una macchina elettrica con display e possibilità di controllare il testo prima di digitare. Mi ritenevo fortunata. Bonilli lavorava in uno dei primi prototipi di Mac portatile, per l’epoca un bolide futuristico. Di lì a poco siamo passati al primo Macintosh classic, con display 9 pollici e un MB di memoria. Oggi tutti oggetti da modernariato se non da museo.
Erano i tempi della protesta di piazza di Tienanmen e della caduta del muro di Berlino (nel 1989), della guerra del Golfo Persico e della riunificazione delle due Germanie (1990), della fine dell'Apartheid in Sudafrica, della diffusione dei telefoni cellulari e della rivoluzione di internet con la nascita del primo sito web (1991). La ristorazione italiana moderna muoveva i primi passi, all’inizio della sua evoluzione a cavallo tra i secoli XX e XXI, non ancora satura di eccessive complicazioni. In quegli anni in Francia nasceva la cucina molecolare, nel 1990 il ristorante spagnolo El Bulli di Ferràn Adrià conquistava la seconda stella Michelin. I ristoranti gourmet dove fare l’esperienza gastronomica si contavano sulle dita di due mani – Marchesi, Paracucchi, Vissani, San Domenico, Cantarelli, Pinchiorri, Il Gambero Rosso di Fulvio Pierangelini, Il Trigabolo… – mentre oggi non bastano i weekend di un intero anno andando nelle tavole stellate e forchettate a pranzo e a cena.
Noi veterani del Gambero Rosso eravamo più giovani e più spensierati, chissà forse i migliori anni della nostra vita, come nella canzone di Renato Zero. Tempi in cui la casa editrice fondata da Stefano Bonilli era la Nave Pirata, pioniera insieme ad Arcigola, poi evoluta in Slow Food, di un modo nuovo di fare cultura gastronomica. Vivevamo questa condizione con gioiosa consapevolezza e senza la pesante complessità dei nostri giorni. Non solo gastronomicamente parlando. E con la stessa mente leggera, allegramente laica, andavamo al McDonald’s di piazza di Spagna. Che non è, come spesso ancora si legge, il primo locale italiano della famosa catena di fast food a stelle e strisce, in realtà preceduto di un anno da quello di Bolzano, poi chiuso nel 1999.
Cosa mangiavamo al McDonald’s?
L’hamburger basic di carne bovina, il Big Mac ma soprattutto il pollo fritto. C’era chi lo condiva con il ketchup, chi con la salsa agrodolce, pucciandoci dentro i nuggets, che all’epoca erano ancora serviti in contenitori di polistirolo. La svolta green, con il passaggio dalla plastica alla carta, è avvenuta dopo (leggo online: nel 2013). E poi le immancabili patatine fritte a bastoncino per tutti. Da bere qualcuno prendeva la Coca Cola, perché quello c’era da bere, per coerenza e per digerire. All’epoca non c’erano numerose proposte di oggi, il Big Tasty, il Gluten Free Burger e l’hamburger vegano McPlant, il McFlurry e il McPops per chiudere in dolcezza. Non c’era il McDelivery, se volevi mangiare un hamburger o un Cheeseburger dovevi recarti direttamente da McDonald’s, fare la fila, ordinare all’operatore in divisa e aspettare quanto avevi ordinato: il servizio di consegna a domicilio in Italia è stato inaugurato a Milano nel 2017 (sempre per essere precisi). Non c’era neanche il McCafé, in Italia dal 2005 (a fare i pignoli), né tantomeno il touchscreen.
Intendiamoci: non vogliamo fare l’apologia di McDonald’s, semmai fare il punto della sua evoluzione, di come la più famosa insegna del fast food globale, nata negli Usa nel 1940 ed entrata in Europa nel 1971 (il primo locale ha aperto in Olanda, subito dopo in Germania, e giusto mezzo secolo fa, nel novembre 1974, nel Regno Unito), abbia assecondato tendenze, gusti e richieste di mercato, si sia adeguata ai tempi. E raccontare come per il Gambero Rosso all’inizio della sua storia McDonald’s aveva il sapore dell’evasione, della trasgressione e della passeggiata in uno dei cuori di Roma. Il bello di quel periodo è che cose del genere si facevano con leggerezza, senza ragionarci tanto, tantomeno giustificarsi.