“I cambiamenti climatici e il degrado ambientale sono una minaccia esistenziale per l'Europa e il mondo. Per superare queste sfide, l'Europa necessita di una nuova strategia di crescita che trasformi l'Unione in un'economia moderna, efficiente sotto il profilo delle risorse e competitiva. The European Green Deal è la nostra tabella di marcia per rendere sostenibile l'economia dell'UE. Ciò accadrà trasformando le sfide climatiche e ambientali in opportunità in tutti i settori politici e rendendo la transizione giusta e inclusiva per tutti”. Si legge così nel sito ufficiale dell'Unione Europea, la quale lo scorso 20 maggio ha presentato, in coerenza con queste premesse, la strategia From Farm to Fork.
Cos’è la strategia europea From Farm to Fork
La carne al fuoco è molta, ma i punti salienti riguardano l'uso di pesticidi, l'uso dei fertilizzanti, l'utilizzo degli antibiotici e l'incremento dell'agricoltura biologica. In pratica la Commissione prenderà dei provvedimenti per ridurre del 50% l'uso dei pesticidi chimici e degli antibiotici per gli allevamenti e l’acquacoltura (basta considerare che la resistenza antimicrobica legata all'uso di antibiotici porta a circa 33.000 decessi umani ogni anno nella sola UE), ridurre del 20% l'utilizzo dei fertilizzanti e incrementare del 25% le superfici coltivate a biologico. Tutto questo entro il 2030 e con un finanziamento di 20 miliardi l’anno tra fondi europei, nazionali e privati.
Una strategia, annunciata a fine dello scorso anno, che ora si inserisce perfettamente nel quadro inedito del Dopoepidemia, come sottolineato dal vicepresidente esecutivo della Commissione europea Frans Timmermans: “La crisi del coronavirus ha dimostrato quanto siamo tutti vulnerabili e quanto sia importante ristabilire l'equilibrio tra attività umana e natura. Al centro del Green Deal e della strategia Farm to Fork c'è un nuovo e migliore equilibrio tra natura, sistemi alimentari e biodiversità; con l'obiettivo di proteggere la salute e il benessere dei nostri cittadini e allo stesso tempo aumentare la competitività e la resilienza dell'UE. Queste strategie sono una parte cruciale della grande transizione che stiamo intraprendendo”. Niente male, se non fosse che (come spesso accade, viene da dire) ci sono dei punti critici.
I punti critici: la carenza di misure operative
Dal fronte della coalizione #CambiamoAgricoltura, che riunisce varie associazioni ambientaliste e dell’agricoltura biologica e biodinamica, vi è principalmente un punto debole, ovvero la carenza di misure operative, nonché di target vincolanti di riduzione delle emissioni dei gas serra specie quelli riguardanti la filiera zootecnica, che utilizza oltre i 2/3 dei terreni agricoli europei, risultando così la maggior beneficiaria (per il 38%) dei sussidi della Politica Agricola Comune. “Le ambizioni della Farm to Fork saranno praticabili – commentano le associazioni - solo con una energica revisione della PAC per incidere sui sussidi perversi che oggi premiano la sovrapproduzione degli allevamenti intensivi e delle grandi superfici a monocoltura. Solo modificando profondamente le regole della PAC sulla base dei contenuti positivi di questa strategia F2F si potrà avviare concretamente una transizione ecologica della nostra agricoltura”. Ma questo non è l'unico anello debole della nuova strategia europea.
L’agricoltura sostenibile riesce a sfamare tutti?
“Bene la sostenibilità”, ci spiega il Presidente di Confagricoltura Massimiliano Giansanti, “ma qui bisogna definire delle politiche volte all'autosufficienza alimentare e alla crescita del sistema agricoltura, che comprenda anche il settore del vino. Con la diffusione del coronavirus è risultato evidente quanto sia fondamentale, nei momenti di crisi, che le nazioni siano in grado di rispondere alle esigenze del consumatore. L'obiettivo numero uno, oggi, è dunque quello dell'autosufficienza alimentare, attorno al quale poi si devono costruire tutte le altre strategie”. Ecco perché Confagricoltura sta di fatto chiedendo che si sposti il riflettore su questa tematica, ovvero quella di soddisfare le esigenze (quantitative) del consumatore, legando la sostenibilità alla produttività. “In futuro rischiamo di trovarci di fronte un'agricoltura sostenibile ma non sufficiente a sfamare tutti. E sapete cosa comporta questo? Aumenterebbero di fatto le importazioni da paesi terzi che applicano regole diverse e meno rigorose”.
Sarebbe meglio una politica transitoria per capire le conseguenze del coronavirus
Altra questione è sicuramente il periodo storico nel quale ci troviamo. “Questa strategia è stata superata dalla diffusione del coronavirus, dobbiamo ancora capire quali saranno gli effetti di tutto questo. Considerate che in soli tre mesi sono cambiati radicalmente i modelli, sono crollati alcuni consumi (penso ai prodotti freschi quali latte od ortaggi) e ne sono aumentati altri. Dunque: ha senso continuare con un già sorpassato programma? Non avrebbe più senso una politica agricola comunitaria transitoria?”. Una politica transitoria che tenga anche conto delle differenze tra un paese e l'altro. “Non si può pensare a un premio uguale per tutti perché non si può paragonare un agricoltore o un vignaiolo italiano, che opera in un contesto territoriale caratterizzato da biodiversità, a uno polacco o un tedesco. Cambiano il costo della vita, ognuno di loro sta subendo conseguenze del cambiamento climatico diverse (sono penalizzati in questo i paesi mediterranei), ognuno ha una produzione differente. Noi siamo i leader della multi produzione, che nulla ha a che vedere con le mono produzioni di alcuni stati membri, per i quali, per esempio, sarà più facile coltivare in biologico. Ma poi non è detto che sia positivo e che non vada ad impoverire il terreno”.
Come sempre, dunque, la ragione sta nel mezzo o, per citare il Direttore Davide Neri del del Centro di Ricerca per la Frutticoltura di Roma, nell'elasticità. “L’agricoltura bio è un protocollo di produzione, come quella integrata” spiega Neri “che in alcune situazioni può funzionare. Ma non sono in grado di ipotizzare le percentuali che potranno essere raggiunte, però una cosa è certa: all’interno di questa ricchezza di genotipi, di volta in volta, si può trovare il protocollo di produzione più adatto. L’arma vincente è l’elasticità”. Di volta in volta, valutando caso per caso. Un po' come dovrebbe fare l'Unione Europea.
Bando alle demagogie: investire sulla ricerca genetica non è un male
E a proposito di elasticità, la richiede anche il Presidente della Coldiretti Ettore Prandini quando si parla di antibiotici o fitofarmaci: “La diminuzione di antibiotici ci sta tutta, basta poi stare attenti alle concorrenze sleali attraverso una corretta regolamentazione sulle importazioni e sul principio di reciprocità. Non vorrei mai che l'ultima battaglia della Gran Bretagna in Europa sia volta a diventare, una volta uscita, il paese di ingresso rispetto a tutto ciò che l'Europa vieterà!”. Ma oltre a regolamentare le importazioni c'è un altro aspetto sul quale bisognerebbe riflettere di più, ovvero ricerca genetica. “A mio avviso non ci si può limitare a una riduzione dei fitofarmaci ma bisogna anche cercare di dare delle soluzioni per salvaguardare la produttività. Noi, insieme a dei ricercatori italiani, abbiamo creato sementi e prodotti assistiti, un termine coniato per rappresentare una novità rispetto ai vecchi ogm. In questo caso si va ad intervenire sul DNA della pianta stessa, rafforzandola lì dove è più debole, così tuteliamo la biodiversità e garantiamo una riduzione di fitofarmaci”. In questo ambito sarà fondamentale una ricerca libera e incentivata dalla politica, in modo tale che non diventi campo fertile (a proposito) per le multinazionali.
L’indicazione di origine e valori nutritivi in etichetta
Altro punto saliente della strategia From Farm to Fork è l’indicazione di origine e valori nutritivi in etichetta. Anche in questo caso ci sono state reazioni contrastanti dai rappresentanti del mondo agricolo, come quella di Prandini: “Partendo dalle notizie positive, sicuramente l’estensione dell’obbligo di etichette con l’indicazione dell’origine degli alimenti, lo è. Ma non posso essere altrettanto entusiasta nei confronti dei bollini nutriscore, che reputo fortemente ingannevoli in quanto rappresentano un enorme favore alle multinazionali. Basta pensare che la Coca-Cola light avrà un bollino verde mentre olio extravergine o latte ce l'avranno arancione o addirittura rosso. Questo perché non è un'etichettatura che parte da una corretta alimentazione ma si focalizza sul prodotto, indipendentemente da quanto se ne consuma”. Sfidiamo chiunque a mangiarsi un chilo di Grana Padano, ma la stessa sfida con 1 litro di Coca-Cola è così impossibile?
a cura di Annalisa Zordan