Diminuiscono i volumi
Torna a salire, dopo un biennio di flessione, l'export francese di vino e alcolici. In tutto il 2015, il settore registra ricavi per 11,7 miliardi di euro(+8,7%) a fronte di una costante erosione delle quantità (-3,6%). Secondo la Fevs, federazione degli esportatori di vino e alcolici, il raggiungimento di un livello storico a valore è dipeso soprattutto dai positivi effetti di cambio, nel senso che il calo dell'euro rispetto alle monete dei principali Paesi clienti della Francia ha favorito le esportazioni, in particolare verso gli Usa (+28%), dove i francesi esportano vino e alcolici per 2,5 miliardi di euro. La voce “vini” per il terzo anno consecutivo registra una flessione nei volumi: -469 mila ettolitri sul 2014, a 12,4 milioni di ettolitri. Significa che in tre anni la Francia ha lasciato sul terreno 16 milioni di casse (1 cassa = 9 litri) che equivale a 1,4 milioni di ettolitri, pari a un quarto dell'export di tutto il Bordeaux.
Crescono i ricavi. E il merito è dello Champagne
Le buone notizie arrivano dai ricavi, che per il vino crescono del 10,7% a 7,92 miliardi di euro, grazie soprattutto al contributo dello Champagne (che da solo vale 2,7 miliardi di euro) in crescita del 12,1% in valore e del 4,8% in volume; buona performance dei vini fermi Dop (+4,3% a valore) e degli Igp (+2,6%); segno meno, invece, per i vini comuni. Guardando alle principali Dop, Bordeaux perde 2,8% in quantità e guadagna 2,9% a valore (1,8 miliardi di euro); per la Borgogna -2,3% e +5,1% a 0,75 miliardi.
Per la prima volta dal 2012, si risolleva la categoria degli alcolici (+13,2% a valore e -3,6% a volume). E lo fa grazie al Cognac, che costituisce il 70% delle vendite del settore, e risulta in forte ripresa con +19,6% sul giro d'affari, a 2,6 miliardi di euro.
“Il 2015 segna un risultato storico ma si lega a fattori congiunturali” dice il presidente di Fevs, Christophe Navarre che evidenzia un paradosso: “Ciò che preoccupa è che da 15 anni i vini francesi perdono quote di mercato. Dobbiamo risolvere il nostro deficit strutturale”.
a cura di Gianluca Atzeni