Francesco Costanzo è uno dei nomi più prestigiosi del mondo del caffè italiano. Torrefattore campano di lungo corso, ha iniziato a lavorare con l'oro nero in tenera età. Oggi vanta un record di preparazione di tazzine (oltre settecento in un'ora), una grande preparazione sugli specialty coffee e non solo, insegna agli americani che lavorano alla Nato a fare un buon caffè. A dieci anni beveva la sua prima tazza, a dodici consegnava il caffè come garzone a fabbri e parrucchieri, a quindici lo serviva dietro il suo primo bancone.
Com’è ha inizio la sua storia d’amore con il caffè?
Avevo dodici anni, andavo ancora a scuola. Nella caffetteria gestita da un mio cugino lavorava un ragazzo, Ciro, più alto di me, che portava i caffè alle fabbriche, parrucchieri, fabbri e usavo accompagnare lui, ma io non portavo ufficialmente il caffè. Ricordo che lo pregavo perché mi portasse, alla fine si arrese.
Cosa le piaceva di quella mansione?
Non glielo so dire, per me era un’emozione, mi dava la sensazione di essere già un lavoratore: andavo a casa e dicevo: “Sai ho portato il caffè, sto lavorando”. Era un orgoglio per me.
A che età ha bevuto il primo caffè?
A dieci anni.
E qual è stata la sua prima sensazione?
Dolce: ci ho messo due o tre cucchiaini di zucchero (sorride, ndr.) Per me era come il cioccolato, come se prendessi della cioccolata dolce.
Quando ha messo per la prima volta piede dietro al bancone del bar?
Quando ho finito di frequentare la scuola dell’obbligo, ho deciso di andare tutto il giorno a lavorare con loro, al bar di un mio cugino acquisito. Un giorno capitò che il barista che faceva il turno il pomeriggio si assentò e il titolare mi disse: “Ti va di fare il caffè”, ricordo che ero così piccolo che non arrivavo nemmeno alla macchinetta.
Dopo quel pomeriggio di sostituzione cosa successe?
Quel ragazzo non venne più, il titolare mi disse: “Te la senti?”, e io rimasi dietro la macchina del caffè. Stavo aspettando che arrivasse quel momento.
Che età aveva?
Quindici anni, man mano ho iniziato a mettermi in mostra, mi piaceva parlare con i clienti, servirli. Sono rimasto lì, al Caffè degli Attori fino all’età di diciannove anni.
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E poi cosa è successo?
Ho girato fino ai ventuno anni in diversi bar di Napoli e provincia, poi la mia attuale moglie, all’epoca giovane fidanzata, rimase incinta e cambiò tutto. Alla nascita della bambina mi rimboccai le maniche e intrapresi un percorso professionale: dopo vari corsi professionali in accademie, a ventitré anni decisi di aprire la prima caffetteria a Frattaminore.
Com’era la sua prima caffetteria?
Una micro roastery, l’aprimmo nel 2014: Caffè Costanzo. All’epoca prendevamo il caffè dai torrefattori ma dopo un po’ di tempo, quando dal vivo andai a vedere il lavoro di chi lo faceva da sé, decisi di costruirmi un’identità e cominciai a far torrefare il caffè da un torrefattore personalmente. Poi la voglia di crescere era tanta e abbiamo comprato una tostatrice da un chilo. Era la fine del 2019.
Un investimento e cambiamento proprio prima del Covid.
Sì, ma quello fu un anno particolare per me.
Cosa successe?
Un giorno, nel 2019 sono rimasto da solo dietro al bancone e, senza accorgermene, è arrivato un grande flusso di gente e ho preparato caffè a profusione. Quando l’ondata è finita mi sono reso conto di aver fatto circa 70 caffè in un quarto d’ora. E lì mi sono messo un’idea strana in testa.
Quale?
Quella di fare una gara e diventare il primo nella preparazione di caffè.
E ci è riuscito?
Certo, sono andato personalmente al Comune di Napoli, ho parlato con chi di dovere e dall’aprile 2019, mese della richiesta, arriviamo a settembre 2019 quando mi sono ritrovato in pizza Plebiscito a Napoli a preparare oltre 700 caffè in un’ora.
E com’è andata la gara?
C’era un grosso bancone, io ero alla macchinetta a leva a preparare caffè e un mio collaboratore a mettere piattino e cucchiaini, ho preparato un totale di 726 caffè, ma hanno passato il giudizio della commissione “solo” 703: ogni tazzina conteneva 25 ml di caffè e nessuna sbavatura, tutto perfetto! Poi questa gara è diventata un contest, Leva contest, che porto in giro per il mondo: facciamo queste competizioni in Thailandia, Cina, Corea, Washington…
Dopo il primato, però, arriva il Covid. Come l’avete affrontato, voi che avevate un flusso importante di clienti?
Appena finito il primo lockdown compro una tostatrice di 6 kg e mi sono messo in gioco. Ho iniziato produrre caffè, e da quel momento abbiamo iniziao a venderlo in tutto il mondo grazie allo shop online.
Che varietà di caffè avete?
L’Arabica la prendiamo da Brasile, Colombia, Honduras, Costa Rica, Etiopia. La Robusta è un’India Kaapi Royale, poi da Costa d’Avorio, e poi abbiamo anche creato un blend personale che si chiama Scugnizzo.
In onore di Napoli! E com’è fatto questo blend?
È la nostra miscela di casa creata da me e mia moglie: blend di Brasile, specialty Columbia e India Kaapi Royale. È un caffè che si può bere benissimo amaro e ha sentori di cioccolato, caramello nocciola, con retrogusto di miele.
Quindi lei pretende di offrire dei caffè specialty ai napoletani?
Anche.
E chi è curioso di questi caffè?
I giovani universitari: quando vengono a prendere gli specialty, addirittura fanno delle foto per memorizzare quello che hanno preso e richiedermelo o provarne altri.
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Si è formato con il caffè, ma adesso fa formazione ad altri?
Sì, ho iniziato a farla per i dipendenti della base Nato che si trova vicino a noi.
E cosa faceva?
Durante il Covid, portavo il caffè in grani in pacchettini alla base Nato a un km da me, facevo conoscere il caffè buono agli americani che a oggi vengono a fare anche colazione da me.
Dai pacchetti alla formazione fu un attimo…
Si quel punto decisi di fare loro formazione perché erano appassionati, ho organizzato il primo corso con Mauro Illiano, poi ne abbiamo fatto uno al mese e ora continuiamo.
E cosa insegna?
A fare l’espresso e i metodi di estrazione del caffè. Da un’idea di mia moglie abbiamo fondato l’Associazione Maestri dell’espresso napoletano. Abbiamo 150 associati, di cui circa il 70% proveniente dalla Campania e i restanti da Firenze, Milano, Sardegna, Roma. Insegniamo a tutti quei baristi che non possono permettersi di fare formazione e, da un’idea di mia moglie, pensammo che non era giusto che rimanessero indietro.
È vero che il caffè napoletano è il più buono d’Italia?
Da esperto le dico di no, però ci sono delle realtà che fanno un lavoro importante.
E allora perché il caffè napoletano ha questa nomea?
È un fatto culturale, il caffè napoletano non ha un protocollo, alla gente piace quel tipo di caffè perché è più cremoso, ha una tostatura più scura rispetto agli altri caffè d’Italia e si fa con la robusta, che dà quel senso di cremosità, che è di una qualità inferiore rispetto all’arabica, però dà il risultato che ai napoletani piace. Se a loro offri il caffè specialty lo rifiutano, vogliono quell’espresso cremoso.
Qual è il giusto prezzo di un caffè secondo lei?
Oggi, per un blend di arabica e robusta secondo me il giusto prezzo è di 1.50 euro, non si può andare più sotto, perché i costi del caffè da comprare crudo stanno aumentando.
Che ne pensa del caffè di Starbucks?
Starbucks tosta scuro, si avvicina un po’ al caffè napoletano, è quello ti dà il sentore di cioccolato. A meno non piace, non è totalmente da scartare, però in fatto di qualità è al decimo posto.
E qual è al primo?
Quello delle micro roastery.