"Vado al forno Panella perché mi piace essere maltrattato". La confessione dello scrittore Francesco Piccolo

22 Nov 2024, 18:03 | a cura di
Lo sceneggiatore racconta il suo amore (non corrisposto) per la storica panetteria romana. Ecco perché la sindrome del cliente masochista ci riguarda tutti

«Tutti noi andiamo da Panella perché ci piace essere maltrattati. Panella è una concentrazione di masochisti che si danno appuntamento nello stesso posto in cui non sanno da dove si entra, da dove si esce, non sanno dove sedersi, a chi ordinare e se quel tavolo gli permette di ordinare. Sanno solo che pagheranno tantissimo». Parola dello scrittore e sceneggiatore Francesco Piccolo che, in un esilarante articolo pubblicato sull’ultimo numero di Review (la rivista letteraria del Foglio), racconta tutta la sua frustrazione di uomo e sceneggiatore che ama, non ricambiato. Nello specifico ama Ludovica (la collega che lo precede nella classifica degli sceneggiatori), così come ama il panificio Panella. Ma in entrambi i casi si tratta di un amore a senso unico.

lo scrittore e sceneggiatore Francesco Piccolo

L’unicità del forno Panella

Per chi non fosse pratico di Roma, Panella è uno storico forno di via Merulana (quartiere Esquilino), ma – e qui torniamo alle parole di Piccolo - «in realtà panificio è la sua definizione originaria, ma oggi è un luogo che ha tanti tavolini all’esterno e all’interno, dove ci sono dolci, si fa colazione, si pranza, si cena, si fanno aperitivi. È un posto molto conosciuto e apprezzato, ma ha alcune caratteristiche che probabilmente non ha nessun altro posto. Prima di tutto cambia continuamente le regole per sedersi e ordinare al tavolo, cambia l’entrata, l’uscita, quindi ogni volta che ci vai non sai cosa ti aspetta: da dove entrerai, da dove uscirai, se potrai sederti, se alcuni tavoli sono lì perché tu possa andare al banco a prenderti la roba e portartela a tavola. Soprattutto non sai mai in quale cassa pagare, ci sono casse specifiche per ogni scelta, e non bisogna immaginare che si paghi alla cassa più vicina (quella è un’idea banale che possono avere in altri posti, non da Panella, dove le azioni banali sono bandite)».

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La sindrome del cliente masochista

Dalle parole dello scrittore, però, non emerge fastidio. Al contrario: affetto. Come quando ami una persona e quella ti tratta male, ma proprio per questo motivo tu continui ad amarla, se non ammirarla ancora di più in segreto. Ce lo immaginiamo Piccolo tornare ogni giorno da Panella, entrare dalla porta (quale?) a chiedere la sua dose di attenzione – o chiamiamolo amore, o compassione – quotidiana, senza ricavarne altro che disprezzo o, peggio, indifferenza. Da Panella, continua lo sceneggiatore dell’Amica geniale «ti trattano molto male, sono insofferenti al fatto che tu non capisca dove ti devi sedere, e a quale cassa devi andare a pagare, di solito ti rivolgono la parola a stento, e ti fanno sentire sempre una persona poco desiderata. Ogni volta che tu vai da Panella pensi: loro qui non mi vogliono». Una sensazione che chi è andato almeno una volta nella vita da Panella (o simili) avrà sicuramente provato.

«Allora – si chiede Piccolo - perché io, noi (Panella è sempre pieno di clienti a qualsiasi ora del giorno), andiamo lo stesso da Panella a essere sconcertati, essere trattati male, a pagare tantissimi soldi? Si potrebbe rispondere che le cose di Panella sono molto buone e in realtà, tutto quello che fa Panella è buonissimo. Ma non è questo il motivo. Il motivo per cui ci andiamo da Panella è proprio perché è sconcertante, avvilente, castrante, dominante e in qualche modo usa la sopraffazione». La sindrome del cliente masochista, insomma, da cui probabilmente tutti siamo affetti. Alzi la mano chi non ha il suo Panella del cuore, dove trovare, anche nelle giornate più buie, almeno una certezza nella vita. Quale? Lo lasciamo dire allo scrittore: «Se dovessi scrivere la sinossi della mia vita – conclude Piccolo – non avrei bisogno di quindici righe, perché, in sintesi, è questa: è andato per anni da Panella, ma da Panella continuano a non considerarlo. In pratica, non ce l’ha fatta». Eppure, lui - come noi - continua a provarci.

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