Una ricetta vera non c'è, ma un buon formaggio preparato alla griglia o alla brace è una cosa che conquista anche i puristi: “è lussurioso, puro godimento” dice Giuseppe Zen. R(esistenza) casearia è il suo angolo delle meraviglie a tutto latte al Mercato della Darsena a Milano, dove assieme a Paolina Mineo propone il frutto delle sue ricerche gastronomiche. Qui, come nell'attigua macelleria, scova l'inscovabile, piccolissime produzioni capaci di riconciliare con il concetto stesso del cibo. Non solo per la bontà, ma anche per quell'approccio sacrale. Che lui diffonde con amorevole sollecitudine nelle sue botteghe che, come suol dire lui, sono luoghi che vanno vissuti. In cui il rapporto con i clienti è un punto chiave: “si sceglie insieme quel che uno cucinerà”. Così siamo andati a bussare alla sua porta, in cerca di consigli ad alto tasso di goduria.
Formaggi cotti: quali scegliere?
“Quando fai un cacio alla griglia o alla brace” dice “abbandoni tutte le fissazioni, per esempio quanti mesi è stagionato, e ti concentri solo sulla gioia che ti dà il formaggio sciolto, che cola da tutte le parti. È puro piacere”. Quello che invita all'assaggio. Quali formaggi? “Dalle paste filate alle croste fiorite, da quelle caciotte piemontesi così burrose al gorgonzola. Polenta e gorgonzola è poi il massimo: la madre di tutte le battaglie dei formaggi fusi”.
Formaggi cotti a pasta filata
Nei formaggi a pasta filata – scamorze, provole o caciocavalli – bisogna fare attenzione a dosare bene il calore: non deve essere mai troppo alto. “Non devi cuocerli di nuovo, ma solo scaldarli, altrimenti perdono freschezza e appena si freddano diventano gommosi, non si possono proprio mangiare”. Dunque nel caso di una scamorza o un caciocavallo al forno, è bene tenerlo intorno ai 100 gradi, senza aspettare che fonda e si sciolga del tutto “basta toccarlo e sentire che si è ammorbidito”. Che sia piastra, griglia o barbecue il monito è sempre quello: “attenti alle temperature”. Ma attenti anche, una volta usciti dal forno, al servizio: “devi appoggiarlo su una superficie bollente e che mantiene il calore, piatto o tagliere che sia, così rimane morbido più a lungo. Per questo una porcellana finissima non va mica bene”. Il rischio, infatti, è che una volta raffreddato si rapprenda, un po' come accade spesso verso la fine della pizza, quando si temporeggia troppo “e dopo aver gustato la prima parte con la mozzarella in uno stato di grazia, ti ritrovi con una cosa che pare gomma”.
Buoni se poggiati su una fetta di pane grigliato, “magari insieme a un'acciuga, con la verdura o con il tartufo, come nella scamorza con tartufo nero della Di Nucci, dove non ci sono aromi, ma il tartufo in scaglie. Pensa quando la mangi ammorbidita...”
L'impiccato
Poi c'è il caciocavallo impiccato irpino, “che è un po' una raclette di casa nostra” dice. In questo caso il discorso sulla temperatura moderata non vale: “il formaggio va appeso sopra una superficie molto calda, l'ideale sarebbe sul fuoco, e poi man mano che si scioglie, si fa colare con il coltello. Devi essere bravo a decidere quando è il momento di raschiarlo via, e poi essere veloce a farlo”. Cosa abbinare a un formaggio sciolto alla brace? “Verdure alla brace, come cipollotti o zucca, magari poi condita con cipolla, aceto e chiodi di garofano, una specie di saor”.
“Una tradizione legata alla transumanza” racconta Saverio Mancino, che oggi ripropone Il Caciocavallo Impiccato in una veste rinnovata, con una struttura design di massello di larice e una base di corian con il grill. “Dato che nei locali non si può usare il carbone abbiamo studiato questa variante, per i ristoranti e i privati, con un kit completo anche di caciocavallo e altri prodotti della zona: pane di Matera, peperone crusco di Senise e così via” spiega. L'origine di questa usanza è legata agli spostamenti dei pastori “non era solo un cibo conservabile, dunque adatto al viaggio, ma veniva anche prodotto durante la transumanza, poi legato ai rami ad asciugare tenuto lontano dagli animali”. Quale è il formaggio ideale? “un caciocavallo vaccino con caglio di capretto, come facciamo in Basilicata, stagionato tra i 35 e i 50 giorni, secondo la tradizione. Più giovane si scioglierebbe subito, più stagionato servirebbe troppo tempo per farlo fondere e sarebbe molto più piccante”.
Formaggi cotti a crosta lavata
Per i formaggi a pasta molle è ancora più semplice, “prendi le croste lavate, quelle pelosotte bianche per intenderci, che siano francesi o italiane: basta che le metti in una cocotte o in un contenitore ed è fatta. A volte le trovi vendute già così, pronte da mettere in forno. E poi vai con il cucchiaio, anche perché rimangono sciolte e continui a mangiarne fino a che puoi”. Anche qui attenzione per le temperature, mai troppo alte. E poi via con gli abbinamenti. “Con le croste lavate vedo patate, carote o cipolle, bollite, al cartoccio o alla brace. Oppure i carciofi alla brace o alla romana, fatti a pezzetti e mescolati al formaggio. Ma” continua “pensa due fette di taleggio poggiate su carciofi e patate bollenti, non hai neanche bisogno di metterlo in forno, si scioglie con il calore delle altre cose che sono nel piatto. Oppure agli asparagi, immersi direttamente nel formaggio fuso”. Per aggiungere una nota croccante nel formaggio fuso ci sta bene la frutta secca: “noci o mandorle, oppure dei pezzettini di fichi secchi, i bianchi del Cilento”.
Gli erborinati
“Polenta e gorgonzola: un piatto perfetto, così grassoccio”. Un abbinamento di tradizione, “la polenta concia con il formaggio che fonde dentro, non c'è da aggiungere altro. Al massimo una pera appena arrostita, per finire il pasto”.
Macelleria Popolare, Panificio Italiano e R(esistenza) Casearia – Mercato della Darsena – Milano – piazza XXIV Maggio – www.mangiaridistrada.com
a cura di Antonella De Santis