Un delivery ci salverà? Nell’incertezza del futuro, probabilmente in alcuni casi sì. Ma con qualche distinguo d’obbligo. Cominciamo dal nome. Nella nostra incontenibile esterofilia linguistica chiamiamo delivery, che fa più figo, quella che in italiano (basta aprire il vecchio Hazon inglese-italiano dei tempi della scuola) è semplicemente la consegna. Non certo una novità, neppure nel settore del food, visto che le pizze a domicilio o il sushi recapitato a casa li abbiamo praticati un po’ tutti e in tempi non sospetti.
Il delivery del 2020 - e del futuro - è tutta un’altra cosa. Non una semplice consegna di qualcosa di pronto, in fondo banale, ma un’idea nuova di “ristorazione a casa”. Dove fra noi e lo chef si crea un rapporto diretto per un’esperienza di cucina gastronomica un po’ semplificata, certo, ma che richiede più della mera accensione del forno. Nel dubbio su quando e come riapriranno i ristoranti, quella del delivery d’autore “esperienziale” potrebbe essere una via (come dimostra anche il rinnovato successo dei meal kit). Anche per un progetto che continui e affianchi la ristorazione classica, perché no? A Torino (ma, solo per restare in Italia, ormai sono diversi i cuochi che hanno deciso di cimentarsi col genere, da Cristiano Tomei a Giuseppe Iannotti, passando per i ragazzi di Retrobottega) abbiamo provato due proposte in questa nuova tendenza e ve le raccontiamo.
Stefano Sforza e il fine delivery all’Opera
Stefano Sforza, classe 1986, ha un’idea di cucina schietta e pulita, fatta di territorialità, innovazione e stagionalità dei prodotti. Belle esperienze alle spalle - Bellevue di Cogne, Del Cambio di Torino, Trussardi alla Scala di Milano, il Turin Palace – l’anno scorso è arrivato da Opera come Executive Chef. Non ha festeggiato il primo anno di attività come avrebbe voluto, con tanta gente al ristorante. Ma ha lanciato la nuova proposta fine delivery. Prima regola: non i piatti in carta al ristorante, ma una carta dedicata espressamente al fine delivery. Con 3, 4 o 5 portate, costo rispettivo 35/45 e 55€. Qualche piatto è solo da scaldare, i dessert sono già pronti, ma ci sono proposte da completare a casa che danno una certa soddisfazione, diciamolo. Ho scelto volutamente 3 proposte da completare, indicate nel menu con il simbolo della padella. Mi è arrivata a casa una gran bag di carta nera, all’interno tutto quel che serve diviso in confezioni ad hoc (la bustina che diventa sac-à-poche, gli scatolini con polveri di guarnizione-e-gusto, il cartoccio...). Materie prime selezionate, quelle che Sforza usa in cucina, di piccoli produttori del territorio. E per ogni piatto un “bugiardino” di istruzioni precise.
Il menu da completare: antipasto, primo, secondo e dessert
Primo piatto di entrata, asparagi al vapore da togliere dalla busta e asciugare, ricoprire con il pane al timo, mettere in forno a gratinare, poi versarci su la crema al tuorlo dalla bustina trasformata in sac-à-poche e completare con il pompelmo in tre consistenze. Bello da vedere, buono, facile da impiattare. In carta avrei potuto scegliere anche la tartare di gambero pronta da mangiare o l’animella con i piselli, anche questa da completare.
Primo piatto, una specialità dello chef: fusillo, limone, aringa, caffè. Un piatto che dà soddisfazione: fusilloni del pastificio Piero Massi, fumetto di pesce da portare a bollore in padella fino a ottenere una crema, poi si aggiungono i fusilli al dente, e si guarnisce con aringa in crema e caffè in polvere. Scoprendo con soddisfazione che il risultato finale non è troppo diverso da quello preparato da Sforza: e vai! Buonissimo, tra l’altro.
Il cartoccio dell’ombrina di secondo (ma ce ne sono altri due, lo stinco di maiale e la crema di zucchina con fiore ripieno) è giusto da mettere in forno: 18 minuti, il trucco sta nel dosare i tempi con il primo e non far passare troppi minuti tra le due portate (nell’attesa comunque si sgranocchiano le chips di farinata che arrivano nel kit). Cartoccio trasparente, così vedi bene quel che succede in forno. Perfetto.
Il dolce è una piccola meraviglia, il gomitolo al cioccolato bianco, maracuja e banana: qui c’entra solo la gola, è tutto pronto, come la piccola pasticceria, tre pasticcini mignon golosissimi. Ti portano anche il pane, quello fatto al ristorante: da mettere 10 minuti in formo a 180° e poi lasciare per 5 a riposare: e sembra appena sfornato.
Giudizio: materie prime ottime, ricette facili, impiattamento soddisfacente anche per una principiante e di bell’effetto. Tutto fattibile nella cucina di casa, senza troppi fuochi e piani d’appoggio: servono giusto una pentola e una padella, niente strumenti difficili. Fine è la parola giusta per definirlo, ha tocchi di raffinatezza interessanti, da cucina gourmet. E si può accompagnare con i vini selezionati dalla cantina di Opera, champagne compreso.
A esperimento concluso, abbiamo sentito lo chef. Che si è dichiarato contento di come sta andando il delivery, e soddisfatto in particolare che le ricette siano chiare e facili da realizzare. E pensa di continuare almeno per un po’ anche dopo la riapertura del ristorante: non sarà immediato il ritorno dei clienti nel locale, e il fine delivery è un modo per rimanere in contatto, proporre piatti nuovi, testare la reazione del pubblico.
EraWay: la nuova era del delivery interattivo da EraGoffi
Apri. Rigenera. Mangia. Questo il mantra di EraWay, il nuovo progetto di delivery di EraGoffi. Per i torinesi Goffi è stato una specie di culto per generazioni: una trattoria come una volta, in riva al Po. Dall’autunno del 2018 l’hanno ripreso tre amici, Alberto Fele, Marco Pandoli e lo chef Lorenzo Careggio, che ha lavorato con Niko Romito e con Tesse e Miglioli al Carignano. Ed è diventato EraGoffi, ristorante gourmand, con CasaGoffi, formula bistrot affacciata sul fiume, più Cantina da Licia, trattoria contemporanea in via Mazzini. EraWay è quasi il quarto polo in questo organigramma del food, come ci spiega Alberto Fele. Non tanto - e non solo - una soluzione di consegne a casa temporanea, ma un delivery interattivo progettato per durare nel tempo e affiancarsi ai ristoranti. Insomma un progetto nuovo, un nuovo percorso per portare la cucina di Lorenzo Careggio a casa. Due menu a disposizione, onnivoro e vegetariano (35€ ognuno), che cambiano ogni settimana.
Accompagnati, volendo, da una selezione di vini della Cantina da Licia. La grande novità: il menu è davvero interattivo.Tutto arriva in sacchetti ben divisi con il numero di riferimento del menu e va rigenerato/lavorato a casa.Ci sono informazioni puntuali all’interno del box ordinato, ma il meglio è la video ricetta di Lorenzo Careggio da richiedere al momento dell’ordinazione: arriva con whatsapp sul telefono, ma tutte le sere, alle 20, si può partecipare alle dirette Instagram sulla pagina @eragoffi in cui lo chef spiega in tempo reale, rispondendo anche alle domande dei clienti, come completare la ricetta. Io ho scelto la formula dei video, comodissima (e ho scoperto pure doti da show-chef di Lorenzo, bravissimo a spiegare tutti i passaggi, anche per chi si mettesse ai fornelli per la prima volta). Servono giusto padelle e pentole, lo chef insegna pure a fare il nido con gli spaghetti con forchetta e mestolo (ma la prima cosa che farò quando finisce il lockdown sarà andarmi a comprare una pinza, dopo che l’ho vista maneggiare da lui, che invidia).
I menu di EraWay
Ho provato entrambi i menu. Il mio onnivoro prevedeva per cominciare tajarin brasato e vino rosso. Facile, bello, buono: cotti i tajarin si mantecano con il ragù di brasato (ricetta di nonna Emma) scaldato in padella, si impiatta a nido, e si decora (c’è tutto) con erbette e perle di nebbiolo di Ermanno Costa. Per secondo, maialino ai carciofi: il maialino arriva cotto a bassa temperatura sotto vuoto e va rigenerato in acqua a 70° (e presumendo che non si abbia a casa un termometro per l’acqua da EraWay hanno calcolato i minuti esatti per raggiungere i gradi richiesti), mentre si riscalda la salsa al latte e in un’altra padella si preparano i carciofi aromatizzati alla menta. Impiattamento molto bello da vedere e facile da fare, carne perfetta come cottura. Si finisce con la panna cotta e jus, solo da impiattare “da chef”: ottimo l’insolito caramello di Barolo chinato e fondo bruno.
Nel menu vegetariano lo spaghettone Verrigni di grano duro trafilato all’oro si cuoce prima in acqua e poi in padella con i carciofi e la crema di spinaci che in parte serve anche per impiattare. È la ricetta più elaborata, forse, ma il risultato dà proprio gran soddisfazione. Segue il radicchio con le mandorle, molto buono e facile, e si finisce con il bunet al caramello salato, tre gesti semplici per metterlo in tavola.
Nel kit si trovano anche il pane, che arriva dalla panetteria di Rudy Marangon di Pianezza, e dei biscottini (nel mio caso meringhette mignon) di Briccodolce. E qui sta una scelta interessante: far conoscere i produttori di cui si serve EraGoffi. Dalla prossima settimana sarà possibile acquistare così anche prodotti e materie prime che vengono abitualmente utilizzati nelle cucine: il cioccolato di Mara dei Boschi, il caffè di Gocce di Cioccolato, i formaggi di Filrouge di Carmagnola, la pasta del Pastificio Reale e del Bolognese. Altra bella idea del progetto EraWay.
Conclusione: due belle/buone esperienze, diverse, ma entrambe attive e coinvolgenti, niente a che vedere con la consegna di un pasto a domicilio. Tocca pensarci: il nuovo corso del delivery forse davvero ci salverà.
a cura di Rosalba Graglia
foto di Dario Bragaglia