La risorsa del food delivery. Tra pro e contro
Si fa presto a dire food delivery. Da quando la consegna di cibo a domicilio è diventata l’unica risorsa a disposizione di chi fa ristorazione e, al contempo, il modo più semplice per evadere dalla routine casalinga a tavola per milioni di italiani, la questione si è decisamente complicata. Nel bene, e nel male. Perché la necessità ha aguzzato l’ingegno, e dunque sono sempre più numerosi gli chef al lavoro su menu a domicilio capaci di preservare, almeno in parte, l’essenza di un’esperienza al ristorante (l’abbiamo visto di recente con Anthony Genovese e Antonia Klugmann, o con i piatti da completare di Opera, ma è vero per molti altri volti noti del settore). Ma anche perché l’obbligo di garantire procedure di lavorazione e consegna sicure sta incentivando lo sviluppo di soluzioni tecnologiche ad hoc, come il bollino digitale di garanzia allo studio della startup romana pOsti. Mentre è ancora controverso il rapporto costi/benefici per le attività che scelgono di affidarsi al food delivery per sopravvivere, ma non possono fare a meno di appoggiarsi alle principali piattaforme di consegna, che continuano a trattenere percentuali molto elevate dell’incasso (anche per questo il prezzo di vendita proposto al cliente spesso è fuori scala). E ancora, tra le storture di uno strumento asceso in modo repentino quanto scomposto, ci sarà molto da lavorare sulla sostenibilità del packaging, che spesso va a farsi benedire a fronte di menu sempre più articolati, tra preparazioni imbustate sottovuoto e sac à poche estemporanee (mentre dal mese di maggio Just Eat distribuirà a tutti i ristoranti partner confezioni biodegradabili e compostabili in polpa di cellulosa, carta erbacea naturale e scarti di canna da zucchero).
Consegna di cibo a domicilio anche in Campania. L’ok di De Luca
La questione più annosa per le attività che vogliono usufruire del servizio in Italia, però, resta il rapporto con le direttive emanate su base regionale. A un paio di settimane dall’avvio della imprevedibile Fase 2 - che necessariamente rimescolerà le carte in tavola – il food delivery è ora autorizzato in tutta Italia. L’ultimo a cedere alle pressioni degli esercenti è stato il governatore della Campania Vincenzo De Luca, che del divieto alla consegna di cibo a domicilio ha fatto una sorta di vessillo da sbandierare per rivendicare la serietà e l’intransigenza dell’amministrazione regionale nell’affrontare l’emergenza. Dal 27 aprile, invece, pizzerie, ristoranti, pasticcerie e bar della Campania, finora desolatamente fermi, potranno ripartire dalla consegna a domicilio. Ma con regole stringenti riguardo a sanificazioni e orari di servizio, che sono un unicum in tutta Italia: bar e pasticcerie saranno autorizzate alla consegna solo nella fascia compresa tra le 7 e le 14; ristoranti, pizzerie, pub e gastronomie, invece, solo dalle 16 alle 22, previa prenotazione online o telefonica. Altrettanto severo è il protocollo di sanificazione emanato a corredo dell’ordinanza, che prevede sanificazione quotidiana dei locali e separazione dei locali di preparazione del cibo da quelli destinati al ritiro dei fattorini, oltre a sancire l’obbligo dei più comuni dispositivi di protezione individuale per tutti i soggetti coinvolti. Non mancano infatti le proteste, come quella raccolta dal blog Luciano Pignataro nell’intervista ad Alessandro Condurro (Pizzeria Da Michele), che chiede di ripensare gli orari, garantendo la consegna anche a pranzo. Ma sono moltissimi gli operatori che, dati alla mano, si stanno rendendo conto che con le nuove regole di De Luca non sarà possibile realmente far partire il servizio di consegna a domicilio.
In Toscana riprende anche l’asporto. L’ordinanza di Enrico Rossi
Nel frattempo, la Toscana sceglie di allentare la morsa, prima regione in Italia a consentire non solo la consegna a domicilio, ma anche l’asporto, come peraltro succede quasi ovunque nel resto del mondo. La battaglia per autorizzare i clienti a prelevare autonomamente il cibo ordinato presso il ristorante è stata sostenuta con forza dalla maggioranza degli esercenti, sin dall’inizio dell’emergenza. I vantaggi sono evidenti, dal momento che il take away azzera una voce di spesa importante (la percentuale da versare alle piattaforme di delivery) e semplifica non poco la logistica. L’ordinanza regionale del presidente Enrico Rossi sarà in vigore dal 24 aprile e viene salutata con soddisfazione dal sindaco di Firenze Dario Nardella: “Una buona notizia: in Toscana ristoranti e locali che somministrano alimenti potranno iniziare a vendere cibo da asporto, solo con prenotazione online o telefonica. Piccoli passi avanti per tornare, con tutte le dovute precauzioni, alla normalità”. Il provvedimento evidenzia anche le premesse che hanno determinato il via libera all’asporto: “La domanda di cibi cucinati o pronti da consumare a domicilio risulta notevolmente aumentata, mentre un’adeguata diffusione della modalità di consegna a domicilio sta incontrando difficoltà di carattere organizzativo ed economico; altresì, in tutto il periodo di sospensione dell’attività dei servizi di ristorazione, le aziende che preparano cibi da asporto preconfezionati all'interno di supermercati o comunque in punti vendita di alimentari, hanno potuto continuare la loro attività, sia con la forma della vendita che della consegna a domicilio, senza con questo determinare conseguenze negative a carico della tutela della salute”.
Le attività dovranno però garantire che l’ingresso per il ritiro avvenga solo per appuntamento (un cliente per volta, e per il tempo strettamente necessario al pagamento e ritiro del cibo), concordando orari dilazionati nel tempo, per scongiurare assembramenti fuori e dentro il locale. La Toscana farà da apripista e da laboratorio per un provvedimento su base nazionale da attivare a far data dal 4 maggio?
a cura di Livia Montagnoli