Cos’è il Fish Dependence Day
Con l'obiettivo di monitorare la salute del nostro settore ittico ogni anno si analizza quanto pesce nostrano si consuma e quanto se ne importa. Per farlo si considera il totale della produzione interna e lo si “spalma” sul calendario, in base ai dati sugli acquisti. È il Fish Dependence Day, il giorno in cui – immaginando di consumare prima tutti i pesci pescati dai nostri pescherecci - l’Italia esaurisce la produzione autoctona, cioè la capacità di soddisfare la domanda interna con i prodotti pescati dalla flotta di casa nostra. A dirlo l'associazione ambientalista MedReAct, sulla base del rapporto NEF Fish Dependence 2017, pubblicato dalla New Economics Foundation: dalle analisi risulta evidente come la situazione del nostro Paese sia nettamente peggiorata negli ultimi 25 anni, con un grado di autosufficienza quasi dimezzato. Di fattori scatenanti ce ne sono diversi, ma la pesca indiscriminata e priva di regole è sicuramente la causa che incide di più. “Per soddisfare la richiesta di pesci e frutti di mare fino a fine 2017 sul calcolo della quota complessiva annuale, si passa all’import” ha spiegato il Wwf commentando i dati “Questo è un segnale di quanto questi Paesi, non da soli, consumino molto più pesce di quanto possano pescare nelle loro acque nazionali”.
La dipendenza dal pesce estero e l’Europa
Secondo i dati del Wwf lo Stivale è al settimo posto della top ten dei Paesi europei con la più alta dipendenza da prodotti ittici da acque estere: l’anno scorso il Fish Depencence Day è stato il 3 aprile, mentre a livello europeo si è arrivati fino al 13 luglio. Ma la situazione, dagli anni ‘90 ad oggi, è notevolmente peggiorata: se si escludono i prodotti derivanti dall'acquacoltura, il giorno in cui termina l'autosufficienza italiana è passato dal 3 maggio del 1990 al 13 febbraio del 2014, il picco più basso degli ultimi 50 anni. In pratica, consumando solo pesce nostrano, saremmo indipendenti dai 2 ai 4 mesi all’anno.
In Europa, però, c’è anche chi sta peggio: Austria, Slovenia, Slovacchia, Belgio, Romania e Lituania hanno toccato il loro giorno della dipendenza a febbraio, mentre Germania e Spagna lo toccheranno fra la fine di aprile e l’inizio di maggio. Insieme a noi, invece, il Portogallo.
Ed è proprio il Portogallo a classificarsi primo in Europa per consumo medio di pesce pro capite, con 53,8 kg all’anno, seguito dalla Lituania (43,6 kg) e dalla Spagna (42,4 kg). Al quarto posto troviamo la Finlandia (36,4 kg) e al quinto la Francia (33,5 kg): questi 5 Paesi da soli rappresentano circa un terzo del consumo di pesce in tutta Europa.
Sono davvero pochi i Paesi considerati autonomi, cioè quelli che riescono a consumare la stessa quantità di pesce prodotta internamente: Danimarca, Estonia e Irlanda.
Il sovrasfruttamento dei mari
Secondo i dati della Commissione europea il Mediterraneo non è più in grado di sostenere la richiesta di pesce locale. Secondo Donatella Bianchi, presidente del Wwf Italia “Tre quarti del pesce consumato in Europa, Italia compresa è di origine selvatica, il resto di allevamento. Il problema è che le scelte del 42 per cento dei consumatori si concentrano solo su sei specie, ignorando molte di quelle provenienti da stock disponibili”. Per invertire questo trend negativo “è fondamentale che le autorità rafforzino le norme sulla tracciabilità e l’etichettatura, che le imprese e il mondo della ristorazione le rispettino e i consumatori siano più attenti nella scelta dei prodotti, selezionando quelli locali - meno nobili magari ma più disponibili - anche di allevamento”.
http://neweconomics.org/wp-content/uploads/2017/03/NEF_Fish_Dependence_2017_2.pdf
a cura di Francesca Fiore