Il Dpcm entrato in vigore lo scorso 16 gennaio farà sentire i suoi effetti fino al prossimo 5 marzo, delegando alla cabina di controllo del Ministero della Salute la gestione delle diverse fasce di rischio regionali (giallo, arancione, rosso, più la novità della zona bianca, per ora solo un miraggio). E per Fipe è il momento di tornare all’attacco per ottenere misure più incisive a tutela dei pubblici esercizi, che continuano a essere fortemente penalizzati. Dopo aver stilato un documento che compara la situazione di bar e ristoranti nei diversi Paesi d’Europa, la Federazione (insieme a una delegazione di Fiepet), nella giornata del 18 gennaio, ha avuto un incontro con il Ministro della Sviluppo Economico, Stefano Patuanelli. Per illustrare, innanzitutto “la situazione drammatica e il profondo stato di crisi in cui versa un settore emblematico dell’economia e dello stile di vita italiano”. E dunque anche il pericolo in cui versano le filiere correlate, come quella dell’agroalimentare e del turismo.
Il dramma del settore della ristorazione
Parliamo, come ha più volte ribadito Fipe, di un settore che comprende 300mila attività, e dà lavoro a oltre 1 milione e 200mila persone (compresi gli stagionali). La perdita di fatturato cumulata nel 2020 ammonta a circa 38 miliardi di euro, con particolari disagi per i grandi centri turistici; e 16900 imprese del settore hanno già cessato l’attività (ma si stima che il conteggio finale potrebbe raggiungere le 60mila unità). In questo quadro, sancisce il documento presentato al ministro, “si rilevano in aumento le manifestazioni di insofferenza e protesta, fino agli episodi di disobbedienza civile con iniziative, perlopiù scomposte, ma nondimeno da considerare avvisaglie di una situazione sempre più esasperata”. Per non parlare del fatto che “la criminalità organizzata sta rapidamente acquisendo spazi e possibilità di operatività a basso costo, indebolendo ulteriormente il settore, ma soprattutto il futuro del Paese”. Di fronte a quello che è considerato alla stregua di “un secondo, lungo lockdown”, dunque, Fipe e Fiepet chiedono al governo di intervenire con decisione e chiarezza, indicando le linee guida per una graduale ripartenza dell’operatività delle imprese, conciliando salute e lavoro. Perché - specificano le associazioni di categoria - gli interventi messi in campo sin qui si sono rivelati insufficienti. Si chiede, innanzitutto, di istituire un tavolo di confronto con le categorie e le istituzioni competenti, “per definire gli eventuali adeguamenti dei Protocolli sanitari già in essere e permettere, anche alla luce della campagna vaccinale in corso, la riapertura delle attività”. Queste le proposte già sul tavolo:
Il ritorno al servizio serale in zona gialla
“È del tutto ingiustificato assimilare attività diverse a medesime restrizioni non distinguendo le imprese in base alle caratteristiche strutturali dei locali e alla tipologia di servizio reso. Ed è altresì necessario consentire nelle “aree gialle” il servizio serale nelle sale di somministrazione che permettano un adeguato distanziamento e attraverso l’adozione di modalità gestionali più accorte”.
L’apertura di bar e ristoranti in zona arancione
“È incomprensibile l’impossibilità di operare, almeno nelle ore diurne, ai pubblici esercizi che risiedono nelle “aree arancioni”, gli unici a rimanere chiusi in un contesto economico in cui tutte le attività commerciali restano aperte”. Almeno per i locali di ampia metratura Fipe invoca dunque la ripartenza, prendendo le distanza anche dal provvedimento che limita alle 18 il servizio di asporto per i bar, che non risolve il problema degli assembramenti serali (per chi vuole infrangere le regole è sufficienti acquistare alcol in minimarket e negozi aperti).
I vaccini
Si richiede l’inserimento degli operatori del settore tra le figure professionali a cui dare priorità nella somministrazione dei vaccini
I ristori quinquies
Qui, la richiesta prioritaria punta sul superamento di un criterio di calcolo e assegnazione degli aiuti economici ritenuto ingiusto e penalizzante, che continua a riferirsi alla perdita di fatturato di aprile 2020 rispetto all’aprile 2019. “Si chiede un contributo a fondo perduto adeguato, parametrato su base annua e destinato a chi abbia registrato una perdita di fatturato dell’anno 2020 di almeno il 20% rispetto al 2019, a prescindere dai limiti di fatturato. In questo modo si può porre rimedio anche all’esclusione di almeno 3/4 mila imprese impossibilitate fino a ora a beneficiare dei fondi perduti principalmente per la mancanza del fatturato benchmark del mese di aprile 2019”.
Canoni di locazione
Si chiede di estendere fino al mese di aprile 2021 il credito di imposta per locazioni di immobili ad uso commerciale e affitti di ramo di azienda (rispettivamente al 60% e 30%). E di intercedere per la rinegoziazione dei canoni di locazione e concessione, con incentivi fiscali come una cedolare secca al 10%, per sostenere accordi tra locatori e locatari di riduzione dei canoni per almeno il 30% del valore originariamente pattuito. Si chiede, inoltre, l’esenzione dal pagamento dell’IMU sugli immobili strumentali per il 2021.
Ammortizzatori sociali
Attualmente il blocco dei licenziamenti si protrae fino al prossimo 31 marzo, quando molti lavoratori saranno a rischio. Dunque, è necessario “il prolungamento degli ammortizzatori sociali (FIS/Cassa integrazione in deroga) fino al termine del periodo di crisi ed almeno per ulteriori 18 settimane nel corso del 2021 senza alcun costo aggiuntivo e senza alcuna distinzione dimensionale”. E sono da prevedere forme di decontribuzione per il mantenimento dell’occupazione al termine del periodo di blocco dei licenziamenti.
Fiscalità
A questo capitolo, tra gli interventi più significativi, si richiede di azzerare l’Iva sulla somministrazione durante il periodo di crisi e di prorogare il credito d'imposta per la sanificazione e l'acquisto di dispositivi di protezione fino al 31 dicembre 2021. Auspicata anche l’esenzione dal pagamento del Canone Unico e della Tari per il 2021.