"Faccio io? No, tu no". Quando affidarsi alla cieca al ristoratore è una pessima idea

20 Ago 2024, 08:12 | a cura di
Lasciarsi guidare al ristorante dal proprietario o dall'oste di turno può portare spiacevoli sorprese. Paolo Manfredi ci riporta le sue ultime esperienze siciliane

Caro Direttore,

che tempi. Non ci si può più fidare del patron sorridente e del maitre così professionale che, noi seduti a tavola in ottima compagnia e in posti da sogno, ci dice “faccio io” per poi tirarci delle botte nel conto finale che innescano catene di pentimenti amari e radicali. Sono stato in Sicilia, due ristoranti semplici ma meravigliosi per cucina e location (nel mare uno, piedi nella sabbia l’altro), informali quanto basta. In entrambi i casi, dopo aver mangiato benissimo, non ci siamo ritrovati nel conto, una legnata sui denti incongrua. La somma è giusta, per carità, e da qualche parte era pure segnato il prezzo di quell’antipasto misto e di quel primo, ma avevamo “fatto fare”.

Meglio "safe" che "sorry"

Col POS in mano, ché di nuovo non c’è nulla di men che regolare, il simpatico cerimoniere diventa un esattore, e gli antipastini misti si misurano al carato. Poi nessuno si impoverisce, né ripeto è derubato di alcunché, ma essendo persone di mondo spiace avere l’esperienza rovinata da evidenti divergenze di valutazione sul conto finale. Siccome è meglio “safe” che “sorry”, per evitare da clienti queste micro delusioni se non conoscete perfettamente il ristoratore evitate il “faccio io”, che si annida soprattutto tra gli antipasti, il pesce e i crostacei a peso e i vini.

Se non è chiaro quanto spendereste (sempre ovviamente che ci sia questo problema, sennò buon per voi, io ce l’ho) andate su piatti finiti, o desistete. Lato ristoratori, se non avete come spero l’abitudine nefanda di “rifarvi” su chi c’è per quelli che non ci sono (al che non abbiamo nulla da dirci), sappiate che gli anni ‘80 sono finiti e se praticate il “faccio io” con la mano pesante e il ghigno furbastro meritate di finire con il locale vuoto. Se invece siete, come siete, brave persone smarrite, un consiglio non richiesto ve lo do: evitate di rovinare l’esperienza perfetta per 50 euro in più.

Leggere il tavolo

I modi ci sono, svizzeri o meno. Quello svizzero è la massima trasparenza: tutto è scritto, consegnato, al limite pure pesato. Si sottoscrive un contratto e nessuna sorpresa. In alternativa, perché i contratti eliminano le sorprese ma raffreddano l’esperienza, si “legge” meglio il tavolo, per testarne i gusti e i limiti, ma sempre dando la possibilità di capire quanto si spenderà. Se avete un tavolo numeroso e proponete “un bel pesce da fare al forno”, lasciate cadere tanto il peso, quanto il prezzo. Sarà il cliente a fare i conti, se vuole, e a decidere se prenderlo o non prenderlo il pescione che sembra vivo. Il vino da pasto che suggerirete dovrà ugualmente essere evidente in lista.

Se farete questo lavoro come si deve, avrete tutti i clienti felici, dal cumenda a chi smezza il primo, fatta eccezione per i cretini di TripAdvisor, ma quelli non hanno speranza. Clienti che torneranno e porteranno altri clienti. Se invece continuate a vedere chi viene a mangiare da voi come un cappone da spennare con queste furberie levantine, buona fortuna. Il mio “faccio io” sarà andare da un’altra parte.

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