«No. Nelle città italiane non ci sarà soltanto una ristorazione mordi e fuggi». Si ribella alla visione apocalittica del collega Simone Cipriani Eugenio Boer, chef e patron con la compagna Carlotta Perilli di Bu:r, ristorante gastronomico nel centro di Milano (in via Mercalli). Cipriani qualche giorno fa aveva annunciato la chiusura dopo otto anni del suo Essenziale a Firenze e in un’intervista al Gambero Rosso aveva parlato di un «cambiamento grandissimo nella clientela, non nei flussi di persone ma nello scontrino medio e nell’interesse dei nostri clienti verso l’offerta». Secondo Cipriani «il mercato è sempre più difficile da seguire perché in continuo cambiamento» e «parlando anche con vari colleghi la sensazione è che questo cambio stia avvenendo in molte città italiane, quasi fosse diventata una questione sociale. Una volta in città eravamo tanti a fare cose fighe. Ora stiamo diventando una città vetrina come Venezia ed è sempre più difficile mantenere etica e integrità nella ristorazione. Le grandi città stanno diventano una giostra per turisti mordi e fuggi».
Boer, è d’accordo con Cipriani?
Non credo che si possa generalizzare. Ogni centro di una città ha un turismo a sé stante. Ma io penso che nelle città italiane la ristorazione non sarà solo una questione di mordi e fuggi.
Lei ha il suo ristorante a Milano, città che un tempo non era considerata turistica ma che ora è entrata nelle rotte dei viaggiatori in Italia. Pensa che certi fenomeni possano presentarsi anche qui?
Milano è diversa. E’ vero che negli ultimi tempi si leggono dati sul fatto che anche Milano sta diventando una città turistica, ma non è ancora quello, tra virgolette, il core business di una ristorazione gastronomica, e dentro questo concetto io metto tutto quello fatto bene. Milano è ancora la meta turistica di un breve periodo, due giorni, una notte, al massimo tre giorni e due notti. Certo, all’interno di questa tipologia di turismo trovi anche la clientela gastronomica che ci ritroviamo al ristorante.
Quindi Milano non sarà mai Firenze?
Sicuramente Milano non ha una massa così grande. Se andiamo a vedere la situazione di Simone (Cipriani, ndr) è diversa, Firenze è una meta turistica molto più di Milano e inoltre è il crocevia di una regione estremamente turistica. Certo, anche Milano ha non lontano il lago di Como e la Franciacorta ma stiamo parlando di due città con una storicità di turismo diversa.
Milano non è Firenze, lei non è Cipriani. Ma fa bene Simone a chiudere? Non ci sono altre strade per rispondere ai cambiamenti del mercato senza arrendersi?
Un ristorante sicuramente ormai deve essere sostenibile sotto tutti i punti di vista anche sotto l’aspetto della remunerazione sia di chi ci lavora, sia di chi investe. Chiudere un’attività ristorativa non è facile, perché 99 volte su 100 hai in atto un’esposizione bancaria importante, che se il ristorante va porti avanti in maniera lineare, ma se di punto in bianco decidi che non ne vale la pena, ecco che chiudere ha un costo enorme.
E allora, meglio reinventarsi? Abbandonare il fine dining?
Sì, ci si può reinventare ma non necessariamente al ribasso, alla fine è sempre una questione di ascolto di quello che la clientela in questo momento vuole. Io sento sempre dire in giro che l’alta gastronomia è morta ma non sono per niente d’accordo. Certo, dobbiamo farci delle domande per capire che cosa dell’alta gastronomia è andata un po’ a noia e riuscire a rimodellarla senza snaturarsi. Quello non deve accadere mai.
C’è un altro problema. I turisti sono spesso stranieri. Se non hai una stella o altri riconoscimenti, come fa uno straniero a venire da te?
Conquistare una clientela di un certo tipo, chiamiamola clientela gastronomica, è certamente un procedimento a rilento. Ovviamente i riconoscimenti in generale accelerano questa cosa qua, perché aumentano il bacino di utenza, però alla fine le cose vanno come devono andare. Parlo di me stesso perché non posso permettermi di parlare delle altre persone: noi siamo abbastanza soddisfatti perché comunque abbiamo la nostra clientela straniera che ogni anno cresce ed è tutta estremamente profilata per la tipologia di ristorazione che proponiamo. In sei anni credo non ci sia mai stato un tavolo che ci abbia fatto pensare: ecco questi hanno sbagliato ristorante. Alla fine quelli che devono arrivare da te, in qualche modo ci arrivano.