Nei mesi scorsi è stato lanciato un allarme sul forte rischio di estinzione dell'anguilla. Adesso però si è deciso di passare veramente dalle parole ai fatti. L’Organizzazione delle Nazioni Unite ha deliberato: presto sarà definito un fermo pesca per questa specie in declino nel Mediterraneo. In attesa di un riscontro pratico, si tratta certamente di un primo passo verso la salvaguardia dell'habitat marino e degli esseri che lo popolano.
La strategia dell’Onu
La presenza delle anguille si fa sempre più esigua. E le cause sono di diversa natura: dalla "pressione" della pesca fino all'inquinamento (che altera il loro metabolismo uccidendole o rendendole incapaci di migrare) e all’impossibilità di raggiungere l'area di riproduzione (anche in ragione della presenza di dighe e altri sbarramenti). Senza troppi giri di parole, il pesce è in pericolo: rischia l'estinzione. Uno scenario che ha spinto le Nazioni Unite ad agire e non solo prenderne atto. Di qui, una delle sue diramazioni, la Commissione Generale per la Pesca nel Mediterraneo (Gfcm) ha concordato uno stop alla cattura delle anguille europee di sei mesi per i pescatori e un fermo totale invece per coloro che per hobby si dilettano regolarmente a pescarle. Dunque, che si astenga definitivamente almeno chi non è costretto a sottrarle al loro habitat per lavoro.
Il provvedimento, volto a preservare la specie senza dover necessariamente sopprimere l’antico mestiere del pescatore di anguille, è stato comunicato dalla commissione stessa e successivamente confermato all’ANSA da una delle sue figure dirigenziali, Elisabetta Betulla Morello: “la situazione delle loro 'abitazioni' cambia nel cambio dei loro passi nella vita e richiede azioni di protezione su tutti i fronti: biologico, ambientale, socio-economico. La cooperazione è essenziale per identificare e implementare misure adeguate, non solo per gestire la pesca ma anche per proteggere l’ambiente e l’organizzazione socio-economica che gira intorno a questa specie”.
Habitat e pesca
Le anguille vivono perlopiù in acqua dolce, dove le correnti sono assenti o a lento scorrimento e lungo i fondali che offrono loro anfratti per ripararsi da luce e predatori. Raggiunta la maturità sessuale, che a seconda del genere può variare dai 6 ai 18 anni, migrano verso il mare per riprodursi, trainate da un istinto straordinario (a tal punto che le spinge a strisciare sulla terraferma per non dover interrompere il "viaggio"). Il luogo designato alla riproduzione (che avviene un'unica volta nel loro ciclo di vita) è il Mar dei Sargassi, situato nell'Oceano Atlantico. In seguito, presso l'acqua più profonda e salata, depongono le uova e muoiono. Quelle nate rimangono in ambiente marino per uno o due anni, dopo i quali si fanno trascinare dalla Corrente del Golfo in direzione dei bacini interni, ovvero fiumi, laghi, stagni e cave. In Italia è possibile trovarle nelle acque di molte regioni; con concentrazione decrescente man mano che ci si allontana dal mare.
Nelle Valli di Comacchio, l'anguillicoltura viene praticata sin dalla civiltà romana. E, ancora oggi, il Bel Paese costituisce il primo 'produttore' europeo. Le anguille però non sono grado di riprodursi in cattività; i tentativi degli allevatori sono risultati vani nel tempo. Le forme di allevamento implicano quindi la loro cattura allo stadio di ceche (almeno 2-3 anni), in corrispondenza degli estuari dei grandi fiumi. Una volta pescate, vengono allevate in bacini secondo il metodo estensivo (diverso dalla vallicoltura) oppure in vasche secondo quello intensivo. La pesca, solitamente notturna, avviene così nella fase di rimonta e discesa del fiume, di migrazione degli esemplari adulti verso il mare e, nel caso dell'acquacoltura, di quelli giovani verso l'entroterra. In sostanza, quando si possono intercettare più agevolmente.
L’indagine della commissione speciale
L’anguilla, un tempo diffusa, si prende ormai in quantità inferiori. Tanto è vero che già dal 2020 è stata registrata una migrazione più che ridotta della specie (nelle rotte attraverso il Mar Mediterraneo e le acque dell’Europa del Nord). Un dato che ha reso urgente osservare il fenomeno con maggiore attenzione.La ratio del report stilato fra il 2020 e il 2022 dalla General fisheries commission for the Mediterranean (Gfcm) e che interessa ben nove paesi delle coste mediterranee coincide con questa esigenza.
L’indagine della commissione speciale dell'Onu ha quindi ad oggetto non solo le dinamiche di cattura del pesce serpentiforme, ma anche le possibili soluzioni da adottare in riferimento alla sua gestione e conservazione; oltre che l’insieme di informazioni inerenti la sua presenza e spostamento. L’analisi delinea poi un quadro delle lagune, ecosistema vitale per le anguille, altro habitat travolto da inquinamento e cambiamenti climatici, e non solamente sottoposto a programmi di pesca ‘depauperanti’.
La normativa vigente
Il regolamento Ue del 2007 era stato varato con lo scopo di ricostituire lo stock dell’anguilla europea attraverso la promozione della sua tutela e lo sfruttamento sostenibile della stessa nelle acque interne e comunicanti degli Stati membri. Il dettato normativo vincolava i singoli paesi ad adottare un proprio programma di gestione della specie mirato a diminuirne la mortalità antropogenetica e consentire “un’elevata probabilità di passaggio in mare per almeno il 40% della biomassa di anguilla adulta”. Tuttavia, i piani di gestione degli stati aderenti non hanno prodotto grandi risultati. A partire dalla penisola italiana, in cui delle regioni si sono adeguate efficacemente mentre altre meno. Non è un caso se, a fronte della prospettiva poco confortante, il decreto ministeriale di recepimento del regolamento comunitario 194/2003 abbia disposto per l’intero anno il fermo pesca alle regioni che non avevano aderito al piano nazionale di tutela delle anguille. Inoltre, lo scorso marzo, il divieto è stato esteso persino alle regioni ‘virtuose’ (Lombardia, Veneto, Friuli-Venezia Giulia, Emilia-Romagna, Toscana, Lazio, Puglia, Umbria e Sardegna); non solo dal 1 gennaio al 31 marzo (come ogni anno), ma anche dal 1 aprile al 30 giugno. Naturalmente, nel periodo in cui vige il divieto, non è lecita la commercializzazione. Parimenti, nel medesimo arco temporale, la migrazione delle anguille verso il mare non può essere in alcun modo ostacolata.
La normativa vigente si applica “alle attività di pesca commerciale, all’allevamento estensivo dell’Anguilla europea in ambiente vallivo aperto al flusso migratorio da mare, nelle acque dolci, marine e salmastre nazionali”. In ogni caso, conformemente alla regolamentazione comunitaria, e ai sensi dell'articolo 4 del decreto, "la pesca a mare dell'anguilla è vietata in tutte le Regioni per tutto il periodo dell'anno".
Cosa fanno i ristoranti
Chiaramente, come espresso da uno dei membri della Commissione Generale per la pesca dell’Onu, lo sforzo deve essere di natura collettiva. Tutti devono remare nella stessa direzione. La “cooperazione” costituisce la chiave principale alla risoluzione del problema. Rientra infatti in questa strategia includere nelle attività di tutela e monitoraggio tanto i biologi marini impegnati nel Mediterraneo quanto le comunità di pescatori specializzati, presenti in Sardegna come in altre regioni d’Italia. Eppure, nonostante il processo di spopolamento delle anguille denunciato nei mesi addietro dalla Ong Ethic Ocean, c'è chi ha deciso di non aderire alla causa.
L’appello internazionale della celebre associazione di hospitality Relais & Chateaux per esempio non sembra aver persuaso alcuni cuochi, che hanno deciso comunque di continuare a proporre in carta il pesce. Significative le parole pronunciate tempo fa dallo chef Marco Sacco del ristorante Piccolo Lago: “Da qualche anno ho smesso di avere questo piatto in carta ma continuo la tradizione con il Buratello, l’anguilla piccola di 40-50 centimetri che non raggiunge le dimensioni di un’adulta ed è di sapore più delicato. Qui da noi, nei nostri laghi c’è il fermo pesca delle anguille e io sono per la sostenibilità […] ma non sono d’accordo con l’appello (dell’executive chef Mauro Colagreco) a togliere l’anguilla dai ristoranti. Ci sono allevamenti etici, sostenibili e sicuri con acque pulitissime e mangimi naturali e chi ce l’ha in carta fa bene a tenerla. Certo, dico no alla pesca illegale, di frodo, selvaggia”. Esiste in effetti un commercio illecito che partendo dalle sponde mediterranee coinvolge anche i mercati asiatici, presso cui non è raro rilevare prezzi da capogiro (un chilo di questo pesce di fondo può essere venduto a più di mille euro).
Senza dubbio, occorre sottolineare come le anguille destinate alla ristorazione possano provenire da allevamenti "responsabili". Resta il fatto che la posizione unanime della categoria avrebbe tutt’altra risonanza; quella di un messaggio simbolico e potente, in grado di smuovere la coscienza collettiva. Un tempo si diceva “l’unione fa la forza”. E adesso?