Caro Direttore,
essendo per fortuna esentato dalla lettura dei quotidiani del gruppo Gedi, ho appreso della defenestrazione di Edoardo Raspelli dalle pagine del giornale da te diretto, con la prima reazione di chi, sentendo al telegiornale l’annuncio della morte di un uomo di spettacolo da tempo scomparso dalle scene dice candidamente a tavola “pensavo fosse già morto” (qui beninteso solo professionalmente).
Poi ho pensato che Edoardo Raspelli prima che, come avete giustamente ricordato, si scoprisse personaggio televisivo e presentasse qualunque sagra gli pagasse la fattura era stato un grande critico gastronomico. Terragno, pane e salame, analogico come il Corriere d’Informazione di Cesare Lanza, dove curava la rubrica Il faccino nero, che ricordo leggevamo con grande diletto nella mia famiglia di ristoratori con la Schadenfreude (il piacere delle sfighe altrui) tipica dei bottegai.
Critico vecchio stampo
Non aveva Raspelli, che scopro da Wikipedia essere stato anche in qualche modo un tuo predecessore, il graffio colto e politico di un Veronelli o un Gianni Brera, né l’impressionante caratura tecnica dei grandi palati, che fanno un po’ paura quando usano aggettivi di cui personalmente ignoro il significato, ma aveva il pregio della penna felice, e soprattutto la fortuna di aver lavorato da critico gastronomico in una stagione assai diversa dall’attuale.
Si recensivano locali di ristoratori anch’essi terragni e al loro modo ingenui, quelli con gilerino di lana azzurro e magari il tovagliolo sotto al braccio, senza business plan e uffici stampa. Li si beccava perché cucinavano male, il pesce non era fresco, la formaggera tutt’altro che impeccabile e se lo diceva il “dutur” giornalista addirittura sulla carta stampata era un bel cazzottone, anche perché gli uffici stampa erano fortunatamente confinati a pochissime grandi aziende, non il necessario complemento dell’ultimo rigiratore di hamburger.
Era bravo Raspelli perché le cose le diceva, con ironia ma assai dirette, come oggi sembra impossibile, anzi ingiurioso. Impossibile innanzitutto perché l’informazione si è ibridata, non solo nell’enogastronomia, con la comunicazione: rimastico e rilancio quello che tu oggetti della notizia mi dici, lasciando la critica eventualmente al brusio dei social. Se facessimo evaporare l’acqua dei comunicati stampa da tutta l’informazione, il residuo secco di critica e pensiero che rimarrebbe sarebbe non più tenue di quello di un chiaretto.
Non è solo per una colossale svendita beninteso, e Raspelli o il critico mascherato del Corriere non sono grandi eroi della comunicazione libera: dove c’è una testata che investe in autorevolezza, puoi e devi mettere più pensiero che copia e incolla (sono sempre meno purtroppo), mentre se devi campare guardi meno il capello.
Sono cambiati i ristoranti
C’è probabilmente un altro motivo più strutturale di inattualità della critica raspelliana, che comunque a me manca come genere: il generale livellamento verso l’alto dei locali, soprattutto in città. Ormai è quasi impossibile mangiare in un posto così scarso e sprovveduto da giustificare gli strali che il nostro riservava alle vittime del suo Il faccino nero, come è quasi impossibile fuori da un liceo vedere ragazzi e ragazze bruttine e stortignaccole come eravamo molti di noi alla loro età, per biologica evoluzione.
La critica, più che sui disastri generali (al netto di giornate storte, improvvisazioni o vere e proprie truffe) si deve concentrare sulla qualità dei singoli piatti, sulla credibilità dello storytelling (se sei una catena di cucina della nonna non sei troppo credibile, diciamo), sull’originalità della proposta (il critico dovrebbe sapere se quello che mi vende Tizio non l’hanno già fatto Caio e Sempronio), finanche sulla congruità del prezzo di quello che viene offerto (non è illegale). Se non è il mercato delle opinioni inutili dei social, la critica oggi deve essere più rivolta all’esperienza, dunque più colta e difficile del tempo in cui Raspelli era uno degli arbitri del gusto.
Non leggendolo da anni, non posso dire che mi mancherà, ma certamente è doveroso ringraziarlo per quel divertimento familiare e quel giornalismo demodé (meno per Miss Castagna Bagnata) e augurargli buona meritata pensione.