Piatta e con pochi spunti: ecco la ristorazione di Roma secondo la Michelin

7 Nov 2024, 11:24 | a cura di
Dopo l’uscita della guida rossa il bilancio, per la ristorazione della Capitale è, se non proprio negativo, quanto meno noioso

Si dice spesso che la Michelin valorizzi, più degli altri, i luoghi a forte vocazione turistica (vedi il caso Campania, che, tra Costiera e Penisola Sorrentina, continua a folgorare gli ispettori della guida francese), ma, come in mille altre situazioni di contraddizione, il parametro non pare reggere per le grandi città italiane, Roma, in primis.

Città fuori fuoco

La fotografia che la guida Michelin 2025 offre della Capitale d’Italia è, a dir poco, sfocata. Ma ci sentiamo di dire che la Michelin è fuori fuoco su tutta la corrente di ristorazione di nuova generazione che sta innovando profondamente la cucina italiana nei modi e nei tempi. Come non c’è la Milano di Trippa (che almeno si distingue per un Bib Gourmand) non c’è nemmeno la Roma di Retrobottega, che - se fosse a Parigi, invece che in via d'Ascanio - meriterebbe una stella da un bel po’, non solo per il tipo di cucina e di progettualità portato avanti, ma per la boccata di aria fresca che ha significato nel centro storico di una delle città più belle del mondo.
Il panel di ispettori che la Michelin fa ruotare nei vari paesi è, ce l’hanno ripetuto più volte, internazionale, ma allora il metro di giudizio internazionale, che pare essere così attento allo street food di Bangkok, alle bettole di Tokyo e ai modernisti di Londra, è completamente fuori strada sulle specificità della cucina italiana di oggi e, possiamo dire serenamente, di sempre (nonostante il bel discorso, un po’ retorico, di Gwendal Poullennec sulla nostra biodiversità e sulla ricchezza dei patrimoni regionali, che pare voglia confinarci in una riserva indiana).

Stelle singole ed eterne

25 i ristoranti insigniti di 1 stella a Roma e in tutto il Lazio (solo una novità quest’anno) alcuni inchiodati in questa posizione da anni, anche se non si tratta di giovani emergenti ma di grandi insegne riconosciute dal pubblico italiano e internazionale, come l’Imago, La Trota di Rivodutri, l'Idylio by Apreda o come Pascucci al Porticciolo, che pure ha da gioire per il premio Service Award che va alla gran classe di Vanessa Melis e della sua squadra in sala (già premiata pure dalla guida Ristoranti d’Italia 2025). Insegne che potrebbero essere due stelle quasi ovvie, come alcuni grandi lombardi. Qualche nome? Cracco, Berton o Contraste, non solo il sempre giustamente citato Camanini.

Luci e ombre su Roma

Nel 2022 le cose parevano promettere un cambiamento, con le nuove stelle singole arrivate a locali giovani, come Pulejo di Roma e Sintesi di Ariccia, e, grande scalpore, con i due macaron ad Acquolina di via del Vantaggio e all’Enoteca La Torre a Villa Laetitia, che per la prima volta andavano a nutrire il gruppo bistellato, insieme al Pagliaccio di Anthony Genovese. Già, Anthony Genovese, il grande maestro nel cuore di Roma, dal 2009 due stelle Michelin. Faceva intelligente autocritica qualche mese fa: «Questa è una città un po’ addormentata, pigra, abbiamo bisogno di una ventata capace di scuoterla. In tutti i sensi, anche nel nostro settore. Roma ha un buon livello ristorativo, ma che ancora non viene espresso al suo massimo». Ma era giusto poi il mea culpa? Genovese è uno dei mentori della nuova cucina italiana (per utilizzare le parole della rossa, che ha premiato come Mentor Chef Antonino Cannavacciuolo quest’anno e Bartolini lo scorso anno), dei quali la Michelin pare non accorgersi. Dovrà aspettare sessant’anni come Perbellini per avere un riconoscimento del suo lavoro dai francesi?

Tante dimenticanze

Svettano da Monte Mario salde le tre stelle di Heinz Beck, fresco di rinnovo. Dopo i premi del 2022, Roma e il Lazio però paiono essere ripiombati nel sonno tra le pagine della Michelin. Una stella all’Orma di Roy Caceres lo scorso anno e un solo nuovo macaron in questa edizione, quello di Pierluigi Gallo e Achilli al Parlamento. Ci sembra che però la rossa dimentichi, o faccia finta di non vedere, troppi altri. Il lavoro nitido sulla tradizione giapponese di Kohaku, le grandi cucine d’hotel – che pure, in altri lidi, la Michelin dimostra di amare così tanto – da anni molto in forma nella Capitale, dall’Eden al Vilon. E nemmeno il fronte Bib Gourmand se la passa tanto bene, se pensiamo alla valorizzazione contemporanea di territorio e cucina di mercato, a un rapporto qualità prezzo ancora notevole, portata avanti da insegne ignorate come Epiro, Arcangelo, Mazzo, Roscioli, L'Antidoto, Barred, DLR - dopolavoro ricreativo, Buccia. Che per la Michelin la ricchezza della biodiversità italiana, poi, sotto sotto, è meglio che non diventi troppo nota?

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