Il libro di Foer
“Se niente importa. Perché mangiamo gli animali?” Questa la traduzione italiana del volume di Jonathan Safran Foer “Eating Animals”. Un saggio che ha fatto in breve tempo il giro del mondo, portando con sé critiche feroci e dibattiti accesi, ma che ha saputo creare fin dall'inizio una schiera assortita di ammiratori che hanno scelto di seguire l'esempio dell'autore. Ovvero, diventare vegani. Ma il libro di Foer è molto più che un'opera sul consumo di carne: si tratta del risultato di una ricerca durata tre anni, nata durante la prima gravidanza della moglie, novità che ha portato lo scrittore ad accantonare la narrativa per dedicarsi allo studio degli aspetti nutrizionali degli alimenti, garantendo così al figlio una dieta sana e bilanciata fin dalla prima infanzia. È durante questa ricerca che l'autore viene a conoscenza dell'intricato universo degli allevamenti intensivi, un tema ripreso poi da molti altri professionisti americani e non solo (in Italia è celebre il caso di Tritacarne, volume-denuncia sugli allevamenti intensivi scritto da Giulia Innocenzi). Dopo di lui – e dopo il suo libro – tantissimi hanno dichiarato di voler diventare vegani, dall'attrice Natalie Portman, che ha affermato “questo libro ha trasformato una vegetariana da vent'anni come me in una vegana convinta”, a Mayim Bialik.
Il film
“Gli orrori quotidiani dell'allevamento intensivo sono raccontati in modo così vivido che chiunque, dopo aver letto il libro di Foer, continuasse a consumare i prodotti industriali dovrebbe essere senza cuore o senza raziocinio”. A dirlo, John Maxwell Coetzee, scrittore sudafricano premio nobel per la letteratura nel 2003. Ma sono tante le recensioni positive sul libro, un saggio che continua a far parlare di sé anche a distanza di quasi 10 anni dalla sua pubblicazione, un testo che si è imposto fin da subito fra le letture imperdibili per gli amanti del cibo, e che ancora oggi rappresenta per molti una fonte d'ispirazione. È il caso del documentario Eating Animals, in uscita nelle sale americane il prossimo 15 giugno, una pellicola che indaga il mondo dell'industria alimentare a partire dalle ricerche di Foer. Un'analisi sul consumo di carne animale, sul rispetto delle norme da parte degli allevatori, ma soprattutto un'osservazione sui concetti di etica, catena alimentare, dieta e l'eterno dibattito fra prodotto artigianale e marchi industriali.
Le storie
Sarà proprio la vegana Natalie Portman la voce narrante dell'intero documentario, mentre la regia è di Christopher Quinn, che cattura con attenzione immagini di polli in cattività per offrire poi istantanee di dimensioni rurali valide, realtà sostenibili che lavorano in maniera etica, in cui l'allevatore si prende realmente cura degli animali, per un paragone netto e immediato. “Non si può amare un animale che è stato geneticamente programmato per morire in sei settimane”. Una delle tante affermazioni degli allevatori ripresi da Quinn. Storie di personaggi diversi che si intrecciano, delineando così la rete sempre più densa e critica di un panorama distante da molti ma presente nelle case di tutti: quello della grande industria. Soprattutto, i dietro le quinte, le regole e le modalità in cui queste norme aggirate. Alcune sono storie note: le malattie dovute alle scarse condizioni igieniche e alla mancanza di luce naturale e di spazio, il conseguente (ab)uso di antibiotici, l'impossibilità di seguire il naturale ciclo riproduttivo con animali obbligati a partorire a ciclo continuo, le pratiche come quella del taglio della coda dei maiali o del becco delle galline per evitare che gli animali si feriscano tra di loro. Ma poi ci sono maltrattamenti, cattive pratiche, animali ammassati che muoiono schiacciati tra di loro, condizioni innaturali e ai limiti della tortura.
L'esempio del Meat Animal Research Center
C'è la storia del veterinario e scienziato James Keen, per anni al centro di ricerca della carne animale del Nebraska (U.S. Meat Animal Research Center) e poi fuggito, dopo aver assistito a pratiche disumane che non riusciva ad accettare. Un uomo che ha scelto di andarsene, ma soprattutto di rompere un lungo silenzio: Keen ha passato tutte le informazioni a un giornalista che ne ha fatto una grande inchiesta sul New York Times, a cui sono seguite investigazioni, controlli rigidissimi e riforme. Quando si denuncia una qualsiasi attività illecita e immorale, in America si diventa un whistleblower. E la pressione a cui il whistleblowerè sottoposto, fra rivalse e azioni vessatorie, è alta. Soprattutto quando si tratta di grandi marchi e imprese. I princìpi hanno spinto Keen a cambiare vita, perdendo il lavoro e anche il matrimonio a causa delle troppe tensioni. A breve, la sua testimonianza nel documentario, insieme alle parole di tanti altri personaggi coinvolti in questo microcosmo complesso e spinoso.
Le prime recensioni
“Presenta uno sguardo oggettivo e onesto circa il dibattito della carne, ma sottolinea anche la possibilità di consumare carne da animali allevati in maniera sostenibile, senza ricorrere alle industrie”. Questa la critica di Alex Billington, FirstShowing, sul film di Quinn, un giudizio positivo condiviso da molti. Stephen Farber dell'Hollywood Reporter lo ha definito “un pezzo di agitprop a tutti gli effetti, soffuso con un velo di tristezza per il declino di una ricca parte del patrimonio americano”. Ancora buone recensioni da parte di Pete Hammond del Deadline, che lo identifica come “una vera e propria ammonizione” verso quelle “condizioni terrificanti e velenose per tutti gli esseri viventi”. Uomini o animali. Un tema delicato, da affrontare con sensibilità e intelligenza, rigore e cura del dettaglio. Per un giudizio più approfondito, attendiamo di vedere l'intera pellicola.
a cura di Michela Becchi