Si era aperto con la perdita di Paul Bocuse e continua nel segno dei grandi lutti il 2018 della cucina francese. Joel Robuchon, classe 1945 e chef più stellato del mondo (con la sua trentina di stelle conquistate un po’ in tutto il mondo, ben 32 prima della recente chiusura di due insegne del gruppo a Singapore), si è spento qualche ora fa a Ginevra, in Svizzera, dove era ricoverato in gravi condizioni. Un anno fa, riferisce Le Figaro dando ampio spazio alla notizia che getta la Francia in lutto nazionale, il cuoco 73enne era stato operato per un tumore al pancreas, e il suo fisico era rimasto molto debilitato. Nato a Poitiers, figlio di un minatore e in giovane età avviato a prendere i voti, la scoperta della cucina arriva presto e repentina, tanto da cambiare i piani del giovane Robuchon, che di brigata in brigata conquista tra pentole e fornelli la sua autorevolezza nel mondo della ristorazione francese, fino al riconoscimento come Miglior artigiano di Francia (MOF) al compimento dei 30 anni (nel 1976).
Gli anni Ottanta sono ricchi di traguardi e riconoscimenti: dopo le due stelle conquistate al ristorante dell'hotel Nikko, apre il suo primo ristorante a Parigi, Le Jamin, nel 1981, che lo porterà ad appuntarsi sul petto i tre macaron della Michelin (tre stelle in tre anni). Ma sarà l’altra celebre guida nazionale, Gault&Millau, a consacrarlo nell’Olimpo dell’alta cucina francese all’inizio degli anni Novanta, assegnandogli il titolo di cuoco del secolo.
La divulgazione e L’Atelier: la cucina è semplicità
Molto incline alla divulgazione e alla condivisione dell’arte gastronomica, Robuchon ha pubblicato moltissimi libri, diventando al contempo un volto televisivo molto amato, promuovendo sempre la semplicità in cucina, “che è la cosa più difficile”, come amava ripetere, fedele a una condotta sul lavoro quasi maniacale, che nulla lasciava al caso. E insieme ha saputo costruire un impero della ristorazione ideando il modello de L’Atelier, un concetto di alta cucina accessibile e felice di mostrarsi in tutta la sua schiettezza, esaltando il prodotto e mettendo al suo servizio creatività, tecnica ed estetica del piatto (con cucina a vista progettata per interagire col commensale). Una formula vincente e innovativa - esemplata sul modello del sushi bar filtrato attraverso l'esperienza del tapas bar, ma senza rinnegare la storia della ristorazione francese pur rinfrescandone la liturgia all’insegna della convivialità - che dopo il debutto quasi simultaneo a Parigi e Tokyo nel 2003, si è rapidamente moltiplicata nel mondo, prima in America (dove di recente ha riaperto la sede di New York) e ancora nel Sud Est Asiatico, dove il locale di Singapore ha chiuso definitivamente prima dell’estate. Mentre alle parole di Carlo Cracco la primavera scorsa era affidata la speranza che presto L’Atelier potesse debuttare anche a Milano, all'Arco della Pace. Era insieme cuoco geniale e imprenditore di successo Joel Robuchon, proprio come l’amico e collega Paul Bocuse, scomparso lo scorso gennaio. Dalle cucine si era ritirato a 50 anni (solo un anno dopo l’apertura, nel 1994, del ristorante Joel Robuchon), e gli ultimi 20 anni li ha dedicati tutti a trasmettere la sua idea di cucina in Francia e nel mondo, senza inutili virtuosismi: tra i suoi piatti più famosi, non a caso, c’è il purè di patate - diventato un'icona degli anni Ottanta - ma tante sono le ricette che valorizzano gli ingredienti del territorio con soluzione moderne e senza tempo, che di Robuchon hanno fatto "un genio visionario della gastronomia", come titola oggi Le Figaro.
Non si fa attendere l'omaggio dei colleghi: "Se n'è andato il migliore tra noi" scrive Pierre Gagnaire; "Era formidabile, straordinario, il Principe della cucina francese" dice Marc Veyrat "e mi ha ispirato molto". E lo ricorda con stima e affetto anche Gordon Ramsay, che con lui, a Le Jamin, ha mosso i primi passi in cucina: "Abbiamo perso 'the Godfather of Michelin'. Grazie chef". "Un giorno di grande tristezza" anche per Anne Sophie-Pic "perché con la scomparsa di questo grande visionario c'è un po' della nostra storia che se ne va"; e per la sua unicità lo ricorda anche David Chang: "Ho sempre pensato a te come fossi il Bill Walsh della cucina, hai completamente cambiato le regole del gioco, in ogni modo possibile". L'omaggio dei fratelli Adrià, invece, passa attraverso la Tarta Robuchon che i due avevano dedicato in vita al maestro. "Grazie per tutto quello che hai fatto", scrive semplicemente Dominique Crenn.