Addio ad Andreina
“Non faremo mai spegnere il tuo spiedo e la tua brace”, recita ora il saluto che Errico Recanati e la sua famiglia rivolgono per l'ultima volta ad Andreina. Sotto, le foto di una vita passata in cucina, accanto al fuoco, alla sua brace, maestra di cerimonie di banchetti sontuosi a base di cacciagione, tagliatelle stese al mattarello, arrosti. In via Buffolareccia (dalla fonte quattrocentesca dove si abbeveravano i bufali che portavano i materiali per costruire la celebre basilica della Santa Casa), all'ex stazione di posta alle porte di Loreto, la brace è accesa da 60 anni, il ricordo del passato che non può prescindere dal profumo dell'affumicato che si respira in tavola. Oggi, Andreina e il suo chef raccontano il presente di una cucina italiana d'autore che non dimentica le sue radici, Due Forchette del Gambero Rosso e una stella Michelin a segnalare l'eccellenza di una realtà rinomata sullo scacchiere della ristorazione marchigiana. Ma quell'insegna porta in dote la storia di oltre mezzo secolo di cucina sincera, che Andreina Isidori Bartolini, classe 1923, figlia di contadini e giovane sarta, ha “scoperto” quasi per caso.
Gli inizi di Andreina. 60 anni di brace
Cominciando dalla mescita di vini dei suoceri, dalla fine degli anni Cinquanta, accanto a suo marito Bruno: qualche salume della casa per spezzare la fame, un buon bicchiere di vino... Un ritrovo sicuro per i cacciatori di passaggio, che presto chiedono di più. Così, con un girarrosto e la selvaggina procurata dagli avventori, comincia la storia di Andreina. Come ristorante capace di attrarre clienti da tutta la regione, ben presto dall'Italia intera. Il grande spiedo a vista, all'ingresso del ristorante, sorveglia il passaggio di consegne, e lo corrobora: alla seconda generazione, quella di Ave, competente sommelier e responsabile di sala, segue la terza, l'ingresso in brigata del giovane Errico (nel 1997), che accanto alla nonna scopre i segreti dello spiedo, il controllo delle temperature, le basi della cucina regionale, il modo migliore per valorizzare la cacciagione.
Il legame con Errico
A unirli, nel segno del fuoco, è un legame affettivo che è insieme rito di iniziazione alla cucina: il profumo del ragù, la sfoglia tirata a mano e le erbe selvatiche che entrano nel piatto, un tempo, come oggi, con Errico alla guida del ristorante (e mamma Ave, con la moglie di Errico, Ramona Ragaini, in sala), dopo anni di esperienza in giro per l'Italia, prima a Baschi, con Gianfranco Vissani, poi al Joia di Milano, con Pietro Leemann, solo per citare le tappe più significative. Il racconto di questa evoluzione che si alimenta di 50 anni di storia, nel 2011, Errico l'ha raccolto in un libro, L'eredità di mia nonna Andreina: le ricette della nonna accanto alle creazioni dell'apprendista diventato grande chef. Ora che Andreina non c'è più – scomparsa all'età di 94 anni all'ospedale di Osimo – le prime parole di Errico (al Corriere Adriatico) lasciano intuire che la nonna vivrà per sempre nella cucina di via Buffolareccia: “Non c’è un ricordo con il quale è semplice sintetizzare lei e una vita accanto a lei. Viveva sopra il ristorante, tra le due finestre e ogni tanto scendeva in sala e in cucina dove è rimasta la sua vitalità e solarità”. E di certo nei piatti di suo nipote.
a cura di Livia Montagnoli