Rovistare tra i cassonetti non è solo una necessità, ma una scelta di vita per molti attivisti che cercano di combattere il consumismo e lo spreco alimentare. Tra questi, colpisce la storia di Sofie Juel Andersen, manager danese di 30 anni, che ha trasformato la ricerca di cibo scartato in un gesto di protesta contro lo spreco alimentare: il dumpster diving. «Ho iniziato per gioco nel 2020. Nei cassonetti trovo tutto ciò di cui ho bisogno», racconta in un’intervista al New York Post. Una pratica nata come esperimento, ma che oggi è la sua missione personale per combattere gli sprechi alimentari, con un risvolto pratico non da poco: il denaro risparmiato le permette di viaggiare in giro per il mondo, sfidando il consumismo con un approccio sostenibile e provocatorio.
La pratica del dumpster diving
«Non faccio la spesa da quattro anni», dichiara al New York Post Sofie Juel Andersen, trentenne originaria di Aarhus, in Danimarca, che ha scelto di ricavare tutto il suo cibo dai cassonetti dei supermercati e documentarlo come diario giornaliero sui social come @dumpsterdivingwsoff. Il fenomeno, noto come dumpster diving, consiste nel recuperare alimenti scartati ma ancora commestibili. Per Sofie, non si tratta di un gesto dettato da difficoltà economiche, bensì di una scelta consapevole: «Voglio creare consapevolezza sullo spreco alimentare e dimostrare che il cibo può essere buono anche se ha superato la data di scadenza o presenta imperfezioni». L’avventura di Sofie ha avuto inizio nel 2020 a Sydney, in Australia. «Sapevo dell’esistenza del dumpster diving e ho deciso di provare. Quello che ho trovato è stato incredibile: cassonetti pieni di cibo fresco e commestibile». Da allora, questa pratica è diventata un’abitudine quotidiana e un manifesto contro gli eccessi della società moderna.
Nel 2024, Sofie ha speso solo 99 dollari (circa 94 euro) nei supermercati, limitandosi a prodotti per la casa come carta igienica e detersivi. Il risparmio le consente di lavorare meno – solo tre giorni a settimana – e di viaggiare per il mondo. «Sono stata in Kenya, Argentina, Italia, Spagna e Dubai. I soldi risparmiati mi permettono di vivere una vita libera e dedicarmi a ciò che amo». Non solo: Sofie ha coinvolto anche la sua famiglia in questa missione. «Quando siamo in vacanza, facciamo dumpster diving insieme. Cucino per loro utilizzando il cibo recuperato, e sanno che non servirei mai qualcosa che non mangerei io stessa».
Una battaglia contro lo spreco alimentare
Quando si parla di dumpster diving non bisogna solo pensare a un metodo di risparmio, ma a una vera e propria forma di attivismo. Quello che muove questi giovani sono soprattutto i dati sul cibo sprecato annualmente. Secondo la Fao (Food and agricolture organization of the United Nations), un terzo del cibo prodotto nel mondo viene sprecato. Nei cassonetti dei supermercati finiscono prodotti vicini alla scadenza, con lievi imperfezioni o semplicemente invenduti. «Questa cultura dell’usa e getta è insostenibile», afferma Sofie. «Voglio cambiare il modo in cui le persone vedono il cibo e sensibilizzarle sul fatto che ciò che viene buttato può ancora avere valore».
La situazione in Italia nell'ultimo anno è allarmante: è risultato in crescita del 45,6 per cento lo spreco di prodotti alimentari nel 2024. Ogni settimana finiscono nel bidone della spazzatura 683,3 grammi di cibo pro capite, rispetto ai 469,4 grammi rilevati nell'agosto 2023. Nella top five ci sono frutta fresca (27,1 grammi), verdure (24,6 grammi), pane fresco (24,1 grammi), insalate (22,3 grammi), cipolle/aglio/tuberi (20 grammi). E' quanto emerge dal Rapporto Internazionale Waste Watcher 2024. Le cause dello spreco sono molteplici. Alcune riguardano il comportamento dei singoli consumatori: più di un terzo degli italiani (37 per cento) dimentica gli alimenti in frigorifero e nella dispensa lasciando che si deteriorino, il 32 per cento teme di non avere in casa cibo a sufficienza e, sempre il 32 per cento, si lascia tentare dalle offerte della grande distribuzione; inoltre, solo il 23 per cento è disposto a programmare i pasti settimanali e il 75 per cento non è disposto o non è capace di rielaborare gli avanzi in modo creativo per evitare di gettarli.
Una community social anti sprechi alimenari
Ma la giovane danese non è la prima sui social a promuovere queste inizative. Già da qualche anno a questa parte, sempre più dumpster diver condividono le loro scoperte. Tra i più noti, Tiffany She’ree, alias @dumpsterdivingmama, con oltre 3 milioni di follower su TikTok; Matt Homewood (@anurbanharvester), che documenta i suoi recuperi in Europa e ha partecipato alla COP26 di Glasgow (la ventiseiesima conferenza delle Parti sul cambiamento climatico), per denunciare lo spreco alimentare. Anche Anna Masiello, classe 1993 e originaria del Trentino-Alto Adige e conosciuta sui social come @heroto0, è un’attivista zero waste e imprenditrice sociale. Vive in Portogallo dove mi racconta di aver fatto dumpster diving per la prima volta nel gennaio 2019.
La legalità del dumpster diving
Ma rovistare nei cassonetti è legale? Negli Stati Uniti, il dumpster diving è tecnicamente permesso, ma le leggi locali possono variare. In Europa, alcuni Paesi come la Francia obbligano i supermercati a donare il cibo invenduto, mentre in Italia esistono incentivi per chi evita gli sprechi. Tuttavia, la pratica resta spesso ai margini della legalità, soprattutto quando si accede a proprietà private. In Danimarca, il dumpster diving è abbastanza sdoganato, soprattutto tra studenti e giovani lavoratori. Sofie non si definisce un’eccezione, ma un simbolo di una generazione consapevole: «Non è solo un gesto pratico, è un messaggio contro il consumismo».
Per molti, il dumpster diving è anche un’esperienza creativa. Alcuni attivisti organizzano cene a tema utilizzando esclusivamente cibo recuperato, trasformando il gesto in un momento di condivisione. Non mancano neppure i libri di cucina dedicati, come nel Regno Unito, dove vengono proposte ricette per valorizzare gli alimenti scartati. Anche le app contro lo spreco alimentare stanno avendo un ruolo cruciale. Piattaforme come Too Good To Go mettono in contatto consumatori e ristoratori, consentendo di acquistare eccedenze alimentari a prezzi ridotti. Ma se questi giovani attivisti sentono la necessità di compiere gesti così provocatori e al limite, significa che c’è ancora molto da fare.